“Burocrazia senza fine: odissea per la voltura di un contratto idrico” – LA LETTERA

Io Reporter – Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviata da un lettore riguardante la lunga burocrazia.

Sono un cittadino nato in altra provincia e residente a Rieti da oltre un trentennio.

Vorrei raccontarvi una storia che sembrerebbe tratta da un annale dell’ottocento. Ho ceduto un appartamento a mia figlia e questa, avendoci trasferito la residenza, ha chiesto ad APS la voltura del contratto di fornitura idrica, sino a quel giorno a mio nome.

Avendo ricevuto dall’azienda l’ultima fattura in cui mi risulta un credito di poco più di 21 Euro, invio una PEC con riferimento a numero utenza e numero contratto ed in allegato la copia della fattura, chiedendo che l’importo venga versato sul mio conto corrente, di cui comunico l’IBAN.

 

Il 23 ottobre ho ricevuto da APS una PEC con allegato un modulo di rimborso da compilare, in cui mi si chiede di allegare, oltre al documento di identità:

 

  • Copia della bolletta/fattura
  • Certificazione/fotocopia iban attivo del proprio istituto bancario

Cioè, in pratica, di fornire le stesse informazioni che avevo fornito nella PEC, con in più la fotocopia del documento di identità e la certificazione/fotocopia dell’iban. Posso capire la copia del documento di identità, ma mi rimane astrusa la richiesta della certificazione/fotocopia dell’IBAN.

Questo è niente, in quanto per effettuare la voltura a mia figlia hanno chiesto di compilare un modulo di richiesta con allegati, oltre alla copia di documento di identità e codice fiscale, la fotografia del contatore (la cui lettura doveva peraltro essere scritta sul modulo).

E, siccome il modulo richiedeva di scrivere il numero di concessione a costruire (appartamento costruito ad inizio anni 90), che lei chiaramente non aveva, ha dovuto fornire anche:

  • Visura dell’appartamento
  • Planimetria dell’appartamento
  • Fotocopia del contratto di acquisto

Il tutto per un appartamento per cui c’era un contratto di fornitura in essere sin dalla sua costruzione e di cui, pertanto, aveva in possesso tutte le informazioni.

In una analoga situazione, all’altra mia figlia, cui avevo ceduto un appartamento nella mia città di origine, è bastato inviare una mail con la fotocopia di un modulo che, oltre ai dati anagrafici, richiedeva solo di scrivere la lettura del contatore (senza richiedere alcuna prova fotografica) e la data del cambiamento di residenza, con allegati solo documento di identità e codice fiscale.

Cioè nessuno ha pensato di chiedere il numero di l’autorizzazione a costruire (ovvero documentazione quale il contratto di acquisto) per un appartamento accatastato da decenni e servito dalla stessa sin dall’anno di costruzione. Se non è inutile burocrazia questa, non saprei come classificarla. Ho inviato una PEC all’azienda in cui dichiaro di aspettarmi la richiesta di pagamento del canonico fiorino.

 

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