Riceviamo e pubblichiamo un pensiero di Alessio Aureli, 19 anni, sull’ansia e il disagio che colpiscono i giovani di oggi.
Il caso del 21enne scomparso, poi ritrovato (leggi), un giovane che ha lasciato un segno preoccupante sui social media prima di scomparire, rappresenta un fenomeno sempre più diffuso tra i giovani di oggi: la manifestazione di un profondo disagio interiore e di un dolore che sembra insormontabile. Viviamo in un’epoca in cui la connessione virtuale è costante, ma paradossalmente questa connessione non sempre si traduce in un vero sostegno emotivo. I social media, che dovrebbero servire come piattaforme di condivisione e supporto, spesso diventano specchi di solitudine e disperazione, amplificando il senso di isolamento.
I giovani di oggi sono cresciuti in un mondo caratterizzato da un’incessante pressione: l’idea che si debba essere sempre all’altezza, sempre felici, sempre produttivi. Questa pressione è aggravata dalla cultura della performance e dall’immagine di sé che si costruisce online, dove spesso si mostrano solo i successi e i momenti felici, mentre le fragilità e le difficoltà vengono nascoste. Questa discrepanza tra la vita reale e quella idealizzata sui social media può far sentire i giovani inadeguati e soli nelle loro sofferenze.
Inoltre, il mondo moderno, con tutte le sue complessità, non offre sempre ai giovani gli strumenti necessari per affrontare le sfide della vita. Il dialogo sui problemi mentali è ancora troppo spesso stigmatizzato, e i giovani possono sentirsi intrappolati in un ciclo di silenzio e vergogna che li porta a credere di non poter chiedere aiuto.
La fragilità emotiva non è segno di debolezza, ma di una società che forse non riesce a fornire le risorse necessarie per affrontare le sfide del presente. La risposta a questo fenomeno non sta nel colpevolizzare i giovani, ma piuttosto nel creare un ambiente in cui sia normale esprimere le proprie difficoltà e cercare sostegno. È fondamentale promuovere una cultura della comprensione e dell’empatia, dove le persone si sentano ascoltate e sostenute, e non giudicate.
La riflessione su Lorenzo e sui molti giovani come lui dovrebbe portare tutti noi, genitori, educatori e amici, a interrogarci su come possiamo meglio sostenere le nuove generazioni. Dobbiamo imparare a riconoscere i segnali di disagio e a offrire una mano, prima che sia troppo tardi. La debolezza non risiede nei giovani, ma in una società che deve ancora imparare a prendersi cura di loro in modo adeguato.
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