(di Camillo Berardi) Le Cento Chiese di Amatrice dimostrano quanto era vivo, diffuso e profondo il sentimento religioso nel passato. Questi Santuari, preziosi tesori artistici poco conosciuti, che hanno attraversato i secoli resistendo ai fortissimi terremoti dell’antichità, sono stati distrutti dagli scuotimenti sismici del 2016-2017 e si spera che possano rinascere quando si deciderà di ricostruire la cittadina di Amatrice.
In uno di questi Templi, precisamente nel Santuario di Santa Maria delle Grazie, nella frazione di Prato, tra i simulacri che ornano (ornavano) il ricchissimo altare maggiore, figurano le sculture di quattro figure muliebri con busti e seni scoperti in palese evidenza. Non sono statue di Madonne del Latte, di Maria Maddalena penitente, dell’eremita Santa Maria Egiziaca coperta di soli capelli, della Madonna delle Arpie, di Sant’Agata che subì il martirio delle mammelle strappate con enormi tenaglie, ma queste misteriose effigi rappresentano quattro Sirene o Sirene-cariatidi di soave sensualità che sorreggono strutture sovrastanti. L’altare incorpora al centro l’antichissimo dipinto della Madonna delle Grazie che era collocato in un’edicola preesistente al Tempio e ai lati della Vergine spiccano le statue di San Sebastiano e di Santa Lucia, affiancate entrambi dalle due Sirene.
Questi simulacri inconsueti nel territorio reatino, e ancor di più nei luoghi di culto religioso dell’Alta Sabina, non sono mai stati spiegati o citati nei documenti che descrivono il Tempio di Prato di Amatrice, pur essendo collocati in bella vista nel magnifico altare, adornandolo con tenere nudità che trasmettono un misterioso messaggio. Assenti in tutti gli altri edifici sacri del comprensorio amatriciano e reatino, le “Regine dell’acqua” sono assai diffuse in moltissime Cattedrali italiane ed europee, anche con l’impudica postura delle Sirene bifide che hanno le due code divaricate e rivolte verso l’alto, serrate con le loro mani, mostrando la parte più intima della femminilità che incarna l’origine della vita. Non c’è da meravigliarsi, dunque, per la presenza di quattro Sirene nel Santuario di Amatrice, ma sorprende la mancanza di scritti, studi e informazioni al riguardo, concernenti questi simboli cristiani che non passano inosservati e che campeggiano sull’altare maggiore con lo sguardo rivolto verso i fedeli. Queste figure innocenti e sensuali, piene di grazia e di armonia, fiere e imperturbate dal peso che sostengono senza sforzo apparente, austere e solenni nella pura nudità, sono cariche di fascino e di mistero. Senza poter fornire spiegazioni al riguardo, necessitando di adeguate e specifiche competenze, si accenna che le sirene, per il cristianesimo, erano simbolo di lussuria e la loro presenza negli edifici sacri era un monito contro i peccati carnali, nel paganesimo – invece – erano simbolo di fertilità, procreazione e potere generativo, con un chiaro richiamo al culto della Dea Madre, protettrice di tutto il creato. Con l’avvento del cristianesimo i simboli pagani si sono sovrapposti a quelli cristiani, convivendo con essi per molti secoli, sopravvivendo ancora oggi e il seno scoperto delle misteriose fanciulle è stato nel contempo simbolo religioso e pagano e metafora di purezza e peccato. Le sirene dell’antichità classica erano splendide creature ibride, donne-animali, che ammaliavano i naviganti con la dolcezza del loro canto e con la loro carica erotica per farli naufragare e poterli divorare. Queste figure incantevoli e ingannevoli, nel tempo hanno subito moltissime trasformazioni, dando origine a una ricchezza feconda di figuratività e di leggende popolari con varianti multiple e composite, legate alla successione storica degli eventi, ai flussi migratori, agli intrecci di civiltà, culture, religioni e all’evoluzione dei miti, con arricchimenti creativi alterati anche attraverso la fantasia popolare, che hanno stravolto i canoni della mitologia classica, già mutevole e oltremodo complessa.
Tra miti, realtà e fantasie, le raffigurazioni multiformi di Sirene, più o meno licenziose e procaci, hanno attraversato i secoli e sono presenti in tutti i continenti nei luoghi più disparati, anche in tantissime Chiese e Cattedrali del territorio italiano, nelle acquasantiere, nei fonti battesimali, nei capitelli, nei rosoni, nei portali, negli stemmi episcopali e cardinalizi, figurano su medaglie di Vescovi e Prìncipi della Chiesa, fiancheggiano lo stemma della Compagnia del SS. Sacramento conservato nella Diocesi di Vicenza, sostengono gli angoli del basamento del sepolcro di Don Pedro da Toledo nella Pontificia Basilica di San Giacomo degli Spagnoli a Napoli, sono ricorrenti in alcune raffigurazioni di San Cristoforo e una Ninfa bicaudata è ritratta nello stemma della Cattedrale di Gerace (RC). Una “Sirena a Cavallo di un mostro marino” e una Sirena bicaudata con code divaricate si trovano nel Duomo di Milano. Varie Sirene sono rappresentate nella Chiesa di San Michele in Foro a Lucca e su una colonna del Tempio è scolpita una Sirena bicaudata alata e aureolata che con questa particolare figuratività intende trasmettere un messaggio di valenza spirituale.
La stupenda fontana del Nettuno a Bologna dominata dalla gigantesca scultura del Dio del mare in costume adamitico e in posa dinamica “serpentinata” nell’atto di calmare le onde, fu commissionata da Papa Pio IV della famiglia Medici di Milano, tramite il Cardinale Donato Cesi, Vice-Legato Pontificio di Bologna, per affermare il potere della Chiesa sulla città che apparteneva allo Stato Pontificio: “Come Nettuno domina le acque, il Papa domina il Mondo”. Nella parte più bassa del monumento, ai quattro angoli, sono collocate quattro splendide Nereidi nude bicaudate – Dee ammalianti e benevole creature erroneamente confuse con le Sirene – che a cavallo di quattro delfini sorreggono e strizzano i loro seni prorompenti dai capezzoli zampillanti. E’ singolare che un Pontefice, per affermare anche il potere religioso cristiano, abbia fatto ricorso con grande disinvoltura a un Dio pagano. Sulle quattro facce verticali del basamento che sostiene l’imponente statua bronzea del Nettuno ignudo, spiccano gli stemmi dei principali realizzatori del monumento: il Sommo Pontefice Pio IV, il Cardinale Carlo Borromeo, Legato Pontificio di Bologna, nipote del Pontefice e Vescovo della città dal 1560 al 1562 e il Cardinale Donato Cesi, Vice-Legato Pontificio di Bologna: il quarto stemma è quello del Comune di Bologna. E’ superfluo evidenziare che le nudità rappresentate nella fontana ingenerarono problemi dopo l’inaugurazione del monumento, essendo considerate lascive e scandalose, peraltro, collocate a fianco di emblemi pontifici, e subirono l’applicazione del rigore morale imposto dalle regole emanate dal Concilio Tridentino conclusosi nel 1563, per le quali fu necessario imbraghettarle. Dopo un certo periodo le “braghe” di bronzo furono rimosse, restituendo al monumento il fascino originario, dinamico e zampillante.
E’ auspicabile che anche per Amatrice, che è appartenuta all’Abruzzo prima di essere transitata nella neonata Provincia di Rieti, si possa avere qualche informazione sull’origine sul significato e sulla presenza delle Creature adamitiche che adornano l’altare del Santuario mariano di Prato, approfondendo e arricchendo la conoscenza di un patrimonio artistico rilevante che è parte integrante della nostra cultura e della nostra storia.
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