“Noi, ore sotto le macerie di Amatrice. Quelle immagini dalla Turchia e dalla Siria fanno male come il 24 agosto” – LA STORIA

“Ore sotto le macerie ad Amatrice, quei minuti eterni”. La storia di Giuseppe e Rita viene ricordata da Ansa, in una rticolo del giornalista reatino Fabrizio Colarieti.

“Ogni minuto è un’eternità. La vita ti passa davanti agli occhi, la senti svanire sotto il peso di quella che una volta era la tua casa”. Giuseppe Leopardi, sopravvissuto, insieme alla moglie Rita Di Gianvito, al sisma di Amatrice (Rieti) del 2016, dopo essere rimasto per sette ore sotto le macerie della sua casa, in queste ore, sta rivivendo la sua storia di fronte alle strazianti immagini che arrivano dalla Turchia e dalla Siria. Il racconto è stato riportato da Ansa.

Ad Amatrice, quella notte, la casa di Giuseppe e Rita, in pieno centro storico, era venuta giù in un attimo. Il pavimento della camera e il loro letto erano diventati come uno scivolo che li aveva scaraventati giù, in verticale, facendoli precipitare dal secondo al primo piano. A bloccarli, oltre a tonnellate di macerie, avevano su di loro le cinque travi del soffitto. “Ero curioso di conoscere la morte e di capire cosa sarebbe accaduto dopo. Perché eravamo convinti che fosse giunta la nostra ora” racconta Giuseppe, tornando con il pensiero a quelle sette lunghissime ore passate a urlare e a guidare i soccorritori che dopo immani fatiche e continue scosse gli hanno permesso di rivedere la luce.

“È una ferita che non si rimargina, un ricordo indelebile. Un’esperienza che non puoi mai cancellare. Come la morte di un genitore” aggiunge Leopardi, ripensando a quei momenti. E poi il peso delle macerie, addosso, che ti resta aggrappato tutta la vita. “Mi capita quando torno ad Amatrice – racconta Giuseppe ad Ansa -, risento quel senso di oppressione, il peso delle macerie sulla mia pelle. Mi capita solo lì. Siamo molto combattuti, non credo che torneremo a viverci”. La vita di Giuseppe e Rita è legata, indissolubilmente, all’abnegazione di due poliziotti, di un carabiniere e un forestale, sono loro ad avergli permesso di rivedere la luce, di uscire da quel pozzo dove erano finiti.

“Ricordo quando ho rivisto il sole – racconta Giuseppe -, ho pensato subito che ce l’avevo fatta, poi ho guardato intorno, non c’era più nulla. La nostra Amatrice sembrava come bombardata. In quelle ore, lo ricordo bene, ho pensato ad Aleppo, martoriata dalla guerra e ora anche dal terremoto. È un grande dolore che si rinnova”.

Foto: RietiLife ©

 

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