Il creativo è talvolta ‘un diverso’. La disabilità psichiatrica in tutte le sue forme e soprattutto in quella dello spettro autistico, che assume molte declinazioni, è al centro di una nuova opera di teatro musicale commissionata dal Reate Festival con la drammaturgia di Guido Barbieri e la musica di Fabrizio De Rossi Re. Magic Circles, in scena al Teatro Flavio Vespasiano di Rieti il 20 novembre, è una storia toccante sui temi dell’inclusione e della creatività che avrà come attore protagonista Vinicio Marchioni. INFO TICKET QUI
Creatività e disabilità, un grande tema da sempre, che il Reate Festival ha voluto fare suo per segnare l’attenzione al rapporto tra musica e società.
Per questa XIV edizione, ispirandosi ad una mostra molto significativa organizzata a Rieti dalla Fondazione Varrone e dedicata alla produzione figurativa di persone con disabilità psichiatrica, la sovrintendente Lucia Bonifaci e il direttore artistico Cesare Scarton hanno commissionato un’opera di teatro musicale dedicata al tema. È cosi nata Magic Circles, Storia di Martin W. che sapeva contare le stelle, opera in un atto su testo di Guido Barbieri e musiche originali di Fabrizio De Rossi Re, che verrà rappresentata in prima esecuzione assoluta il 20 novembre alle 18 al Teatro Flavio Vespasiano. Protagonista un attore oggi di grande notorietà ed esperienza teatrale come Vinicio Marchioni, particolarmente sensibile al tema dell’inclusione. La regia è di Cesare Scarton, la parte visiva di Flaviano Pizzardi (motion graphics), Andrea Tocchio (impianto scenico e luci), Giuseppe Bellini (costumi), l’insieme vocale è Evo Ensemble, la parte strumentale è affidata al Reate Festival Modern Ensemble diretto da Gabriele Bonolis. INFO TICKET QUI
L’argomento è ben spiegato dal drammaturgo Guido Barbieri in un breve testo di presentazione: “Una parte non piccola delle cosiddette “persone autistiche” (una definizione sbrigativa e generica) rivela però, sin dai primi anni di vita, alcune caratteristiche non comuni: per un verso una ipertrofia delle capacità mnemoniche, per l’altra un’attitudine più o meno pronunciata verso attività creative che vanno dalla poesia alla pittura, dalla musica alla scrittura narrativa. Si tratta di quella che in anni lontanissimi, nel 1887, il medico londinese John Langdon Down definì sindrome del savant. Questo fenomeno dai contorni ancora indefiniti e dalle cause non accertate ha attirato costantemente l’attenzione delle neuroscienze: Oliver Sacks, ad esempio, ha dedicato due saggi fondamentali ad altrettanti casi “esemplari” osservati in prima persona: quello di Stephen Wiltshire raccontato in Prodigi e quello di Martin A. descritto invece in Il melomane enciclopedico. Ma anche il cinema, la televisione e la letteratura ne sono stati attratti: da Rain Man, il film di Barry Levinson interpretato nel 1988 da Dustin Hoffman, a Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, il romanzo scritto nel 2014 da Mark Haddon, fino alla recente serie televisiva in 94 episodi The Good Doctor.
All’appello manca ancora però un genere di spettacolo che più di ogni altro è in grado di restituire la “fisicità”, la concretezza, la realtà sensoriale della sindrome savante: il teatro musicale. È proprio in questo “vuoto” che si colloca, con l’intento di colmarlo almeno in parte, il progetto di Magic Circles”. Il titolo è ‘rubato’ da una delle raccolte grafiche più originali e affascinanti di George Widener, pittore, grafico, disegnatore statunitense, colpito sin da bambino dalla Sindrome di Asperger, che soltanto verso i quarant’anni, dopo una vita trascorsa da homeless tra Europa e Stati Uniti, ha rivelato straordinarie capacità creative. L’opera non vuole però raccontare la storia di George ma attraverso le vesti di un personaggio immaginario cerca di sondare i misteriosi intrecci tra la psiche umana e la creatività. Martin W. il “diverso” con cui si rapportano la collettività rappresentata dal coro e gli altri singoli personaggi, nei suoi anni della maturità verrà impersonato da Vinicio Marchioni, mentre il suo alter ego giovane sarà interpretato da Andrea Hegedus.
Il Reate Festival è realizzato con il contributo di Ministero della Cultura, Regione Lazio, Fondazione Alberto Sordi per i giovani, ENI, IGT, Poste Italiane, Terna, Errebian, Acea, Unindustria. Soci fondatori: Comune di Rieti, Fondazione Varrone, Camera di Commercio di Rieti-Viterbo; socio sostenitore: Banca Intesa Sanpaolo; le attività sono realizzate in collaborazione con Accademia Filarmonica Romana, Teatro dell’Opera di Roma, Teatro di Roma, Associazione Europa In Canto, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Associazione She lives, Trenitalia, Liceo Musicale di Rieti, VG-Wort-Neustart Kultur.
Info: www.reatefestival.it – www.fondazioneflaviovespasiano.it
(di Guido Barbieri) C’è Tony, cieco dalla nascita, che suona ventitré strumenti diversi e sa a memoria ottomila canzoni. E poi c’è Stephen che da quando ha cinque anni sa disegnare alla perfezione decine di edifici visti una sola volta per pochi secondi. E ancora George che è capace di dire, senza sbagliare mai, a quale giorno della settimana corrisponde una data qualsiasi compresa tra il 1850 e il 2050. Oppure Jessy che sa a memoria i nomi e le coordinate celesti di migliaia di stelle, Shikoyro che disegna solo insetti, ma con la precisione di una macchina fotografica, o infine Birger che fino a diciott’anni non ha pronunciato una sola parola, ma che scrive racconti straordinariamente profondi e visionari. E insieme a loro una moltitudine di donne, uomini, bambini proprietari di talenti e capacità che Oliver Sacks ha definito “prodigi”. Ma Tony, Stephen, George, Jessy, Shikoyro, Birger hanno qualcos’altro in comune oltre alla loro abilità: sono persone colpite da quelle che la scienza medica definisce – in modo asettico ed oggettivo – “disturbo dello spettro autistico”. Una “patologia” che ha fatto delle loro vite, vite diverse da quelle degli altri.
Da un punto di vista strettamente scientifico l’autismo è un insieme di anomalie del neuro sviluppo, dovute principalmente ad alterazioni di carattere genetico, che si manifestano nei primissimi anni di vita. Ma i “soggetti autistici” si comportano in modo del tutto diverso gli uni dagli altri: c’è chi manifesta difficoltà della comunicazione non verbale, chi rivela un interesse ossessivo per alcuni oggetti, chi si rifugia in una compulsiva attività di routine, chi rifiuta di ricorrere al linguaggio verbale per comunicare i propri bisogni o desideri, chi non tollera le minime variazioni delle abitudini quotidiane. Chi, nei casi peggiori, reagisce in modo violento, aggressivo, a volte autolesionista, di fronte a qualsiasi turbamento della quiete mentale.
Una parte non piccola delle cosiddette “persone autistiche” (una definizione sbrigativa e generica) rivela però, sin dai primi anni di vita, alcune caratteristiche non comuni: per un verso una ipertrofia delle capacità mnemoniche, per l’altra un’attitudine più o meno pronunciata verso attività creative che vanno dalla poesia alla pittura, dalla musica alla scrittura narrativa. Si tratta di quella che in anni lontanissimi, nel 1887, il medico londinese John Langdon Down definì sindrome del savant (o con una espressione oggi inaccettabile sindrome dell’idiot savant). Questo fenomeno dai contorni ancora indefiniti e dalle cause non accertate ha attirato costantemente l’attenzione delle neuroscienze: Oliver Sacks, ad esempio, ha dedicato due saggi fondamentali ad altrettanti casi “esemplari” osservati in prima persona: quello di Stephen Wiltshire raccontato in Prodigi e quello di Martin A. descritto invece in Il melomane enciclopedico. Ma anche il cinema, la televisione e la letteratura ne sono stati attratti: da Rain Man, il film di Barry Levinson interpretato nel 1988 da Dustin Hoffman, a Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, il romanzo scritto nel 2014 da Mark Haddon, fino alla recente serie televisiva in 94 episodi The Good Doctor.
All’appello manca ancora però un genere di spettacolo che più di ogni altro è in grado di restituire la “fisicità”, la concretezza, la realtà sensoriale della sindrome savante: il teatro musicale. È proprio in questo “vuoto” che si colloca, con l’intento di colmarlo almeno in parte, il progetto di Magic Circles. Il titolo è ”rubato” ad una delle raccolte grafiche più originali e affascinanti di George Widener, pittore, grafico, disegnatore statunitense, colpito sin da bambino dalla Sindrome di Asperger, che soltanto verso i quarant’anni, dopo una vita trascorsa da homeless tra Europa e Stati Uniti, ha rivelato straordinarie capacità creative: insieme alle sue immense tele fitte di date, numeri e ricorrenze ha iniziato qualche anno fa a realizzare grandi pannelli basati sulla integrazione tra il dispositivo del quadrato magico e la forma del cerchio: un modo per imprimere un ordine razionale alla sua immaginazione visiva e numerica.
L’opera non vuole però raccontare la storia di George. Il protagonista, Martin W, è al contrario un personaggio immaginario che concentra in sé i caratteri, i comportamenti, i pensieri dell’ideale depositario di una sindrome savante. Il ruolo è affidato ad un attore che ha però accanto a sé un suo doppio, un sé stesso bambino (ruolo muto) che rappresenta e interpreta la sua infanzia. Intorno ai due personaggi, racchiusi scenicamente in un grande cubo trasparente che rappresenta la mente del protagonista, si muove un coro di sei elementi che da voce per un verso alla “società”, alla collettività umana che accoglie e respinge il “diverso”, per l’altro alle persone le cui vite hanno incrociato quella di Martin: la madre, il maestro di scuola, il medico che per primo ha diagnosticato la sua malattia. Le pareti del cubo si trasformano di volta in schermi che riproducono i processi visivi e mentali del protagonista.
Foto: RietiLife ©