La decisione dell’Indonesia di vietare l’export di olio di palma deve essere l’occasione per accelerare la sua sostituzione con prodotti più salubri ed a minor impatto ambientale come il burro, l’olio di oliva o quello di nocciola, utilizzato storicamente nelle prime creme spalmabili. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare il bando parziale alle esportazioni deciso a partire dal 28 aprile dal Paese asiatico che è il primo produttore mondiale di olio di palma.
L’Italia lo scorso anno ha importato ben 1,46 miliardi di chili di olio di palma dei quali circa la metà per un quantitativo di 721 milioni di chili proprio dall’Indonesia, secondo l’analisi della Coldiretti su dati Istat.
“Un prodotto che già molte imprese in Italia hanno deciso di sostituire – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – poiché alle preoccupazioni sull’impatto sulla salute a causa dell’elevato contenuto di acidi grassi saturi, si aggiungono quelle dal punto di vista ambientale, perché l’enorme sviluppo del mercato dell’olio di palma sta portando a livello globale al disboscamento selvaggio di vaste foreste senza dimenticare l’inquinamento provocato dal trasporto a migliaia di chilometri di distanza dal luogo di produzione”.
Per l’opposizione crescente dei consumatori, la scritta “senza olio di palma” è diventata una delle più diffuse sugli scaffali di negozi e supermercati anche se “alcune imprese continuano ad utilizzarlo – spiega la Coldiretti Lazio – in alimenti dolci e salati come biscotti, brodi e zuppe, dolciumi, creme spalmabili, torte, grissini, brioche e alcuni piatti pronti. Una possibilità che oggi può essere addirittura nascosta ai consumatori, per effetto della circolare dal Ministero dello Sviluppo economico emanata all’inizio di aprile, che consente all’industria alimentare di utilizzarlo in sostituzione di quello di girasole senza indicarlo esplicitamente in etichetta”.
L’Italia che è il secondo produttore mondiale di olio di oliva può contare su un prodotto sostitutivo di grande qualità alla base della dieta mediterranea che peraltro ha avuto aumenti di prezzi contenuti al 5,3% rispetto al +25,9% degli altri oli vegetali.
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