Foto: Gianluca VANNICELLI ©
(di Martina Grillotti e Christian Diociaiuti) In 5 giorni 5000 tamponi, numero destinato a lievitare. Da oggi solo su prenotazione. Fare un tampone molecolare è la missione di queste Feste, a Rieti e in tutta Italia. Lunghe code, attese, qualche disagio: anche solo prenotare il tampone è cosa complicata se non impossibile negli ultimi giorni (leggi). E se i social passano il tempo a ironizzare su chi sia rimasto negativo al covid in questi ultimi giorni del 2021, sotto ai gazebo bianchi del drive-in di via del Terminillo si lavora sodo, si corre da una macchina all’altra con rapidità e pazienza. Quando il virus sembrava ormai “stabilizzato” e con una ventina di casi al giorno nel Reatino che non preoccupavano soprattutto sul fronte ricoveri, ecco l’inverno, ecco Omicron, ecco le Feste. Riecco i contagi (senza tanti ricoveri, per fortuna).
Il picco della richiesta di tamponi, il giorno della Vigilia: vuoi per i quasi 1000 positivi in provincia, vuoi per la volontà di passare le Feste in serenità, tutti si sono riversati al drive-in. Chi ne aveva necessità, ma anche chi la necessità se l’è cercata: e così sono arrivati da Roma e molti – anche dal Reatino – non si sono prenotati. È accaduto il 24 e ancora il 26, il 27 e il 28. Poi Asl ha messo un freno: solo su prenotazione dal 29 dicembre. Peccato che l’assalto continua e prenotarsi è quasi impossibile. Così l’azienda è stata costretta ad ampliare la rete dei drive-in (leggi), tornando, di fatto, alle prime ondate, quando si tamponava anche in provincia.
Un maxi lavoro per il personale Asl, con cui abbiamo passato una mattinata oggi, 29 dicembre. “Abbiate pazienza e comprensione nei confronti del personale” ammoniva ieri Asl. Ma effettivamente nessuno se la riprende con le donne e gli uomini del drive-in. Le persone conoscono il meccanismo e la situazione reatina e italiana. Sanno che oggi il tampone è merce rara.
All’apice della lunga coda che parte dalla rotatoria (a volte prima, dalla Finanza o dall’incrocio dell’ex Manicomio) ci sono loro, operatori e sanitari, e cercano di sbrigarsi come possono. Quando le auto sfilano a pochi metri dalla “camera calda” del tampone, ecco apparire il personale amministrativo, donne e uomini del Cup che tra gabbiotto e strada prendono in carico la prenotazione, ritirando le tessere sanitarie. Due digitatine sul pc, una scansione al barcode e via, si riconsegna la tessera e ci si disinfetta i guanti. Spesso si aiuta chi è più spaesato, mosche bianche tra chi ormai di tamponi in 700 giorni di pandemia ne ha fatti diversi. Neanche il tempo di sfilare che la tessera rieccola qui; insieme ci sono il foglio per ritirare il tampone al totem ospedaliero (ma spesso non serve, arriva l’sms per il ritiro del referto direttamente al cellulare oppure il personale lo stampa su un foglio) e le etichette da consegnare all’infermiere del tampone.
Pochi metri ancora in auto ed eccoli lì: bardati di bianco, mascherine e visiere. Sono le infermiere e gli infermieri Asl dei tamponi. Alcuni sono qui da inizio emergenza e riconoscono i tanti che ormai in due anni sono passati di lì volenti o nolenti. Sbrigativi per necessità, gentili per vocazione: “Giù la mascherina, facciamo subito. Un po’ di pazienza, non le faccio male”, e poi un po’ di pizzicorio alle narici, un colpetto di tosse, una lacrima e via, il tampone è andato. Lo rinfilano nella provetta e lo catalogano. Ora non resta che aspettare compulsivamente sul sito. “Penso che lo esamineranno in giornata, guardi il sito. State tranquilli, ce la facciamo. Auguri” rassicurano gli infermieri che, mentre tolgono i guanti usati per un paziente, si disinfettano col gel e indossano un nuovo paio di protezioni per le mani, ormai ruotine ritmata come attenzione per chi passa di lì.
Un rullo vero e proprio, il drive-in. Un ordinato girone infernale col turno dalle 8 alle 13, senza soluzione di continuità. E mentre al drive sfilano circa mille persone, i tamponi, man mano, arrivano al Laboratorio Analisi del De Lellis dove le macchine infiammano coi cicli termici e cercano il virus, sperando di non trovarlo nei quaranta “giri” che servono alla macchina per dire “positivo” o “negativo”. Qui medici, tecnici e infermieri validano il referto che poi finisce online, pronto da scaricare. Un’altra fondamentale parte del lavoro è lì, tra le mura rosa dell’ospedale di via Kennedy.
Il drive-in e quello che gli ruota attorno è, dunque, il nuovo lavoro della pandemia. Un lavoro necessario, da capire, da razionalizzare. Sperando che le regole sul tracciamento vengano aggiornate alla situazione attuale. E sognando che tutto questo, un giorno non troppo lontano, sia solo buono per i libri di medicina e di storia. Che sia, insomma, solo un brutto ricordo da non rivivere mai più.