(di Martina Grillotti) “25 milioni sono stati stanziati per il Lazio per migliorare l’offerta formativa universitaria ma sono bloccati a causa di un bando non pubblicato” Sono le parole del presidente del Polo Sabina Universitas, Antonio D’Onofrio, che lancia l’allarme nel corso di una conferenza stampa per chiarire le possibilità sul territorio Reatino.
“Ci sono 25 milioni di euro che debbono arrivare in qualche maniera sul territorio, se non c’è il bando si slitterà perlomeno di un anno, c’è in corso un lavoro fatto in accordo con la Regione per avere finalmente a Rieti un’offerta formativa universitaria in linea con le necessità della città. A causa di un’inefficienza della pubblica amministrazione e del Ministero competente si rischia che non si ampli l’offerta formativa” ha spiegato D’Onofrio.
Al momento a Rieti, con i corsi dell’università della Tuscia e della Sapienza sono circa 800 le persone che studiano nel Polo Sabina Universitas, e rappresentano un’importante risorsa per il territorio: “Ma è una risorsa che non cresce e che non può crescere senza questi fondi: nello specifico, oggi ci sono a disposizione 15 milioni per l’aumento dell’offerta formativa e per la ricerca e 10 milioni in mano al Commissario Straordinario Sisma per investimenti culturali ma perché questi 25 milioni cadano sul territorio c’è bisogno di un bando per le università, un bando doveva uscire ad agosto e ad oggi ancora non c’è. Il rischio è che il bando non venga promulgato in tempo. Le università hanno tempo fino a dicembre per capire quali nuovi corsi vogliono essere aperti nel 2022″ ha spiegato ancora D’Onofrio.
“L’offerta formativa rinnovata – ha detto D’Onofrio guardando al futuro – potrebbe portare più che il raddoppio degli studenti, e a quel punto per Rieti sarà una risorsa. Stiamo organizzando le attività del Consorzio della Sabina Universitas facendo conto che questi fondi già ci siano. Va ricordato che il consorzio non è un’università, abbiamo due convenzioni con due università che paghiamo: se riusciamo a portare avanti questo blocco che oggi abbiamo possiamo avere il prossimo anno due università che hanno un progetto comune e potremmo dire a quel punto di avere un’università che sia produttiva per il territorio e che non sia solo un costo per il territorio. Certo stiamo parlando di sedi distaccate di università più grandi, non sarà centro l’università di Rieti ma significa sempre avere l’università”.
La nota della Sabina Universitas
“Università, il raddoppio è a un passo ma serve il bando del Ministero”.
D’Onofrio si appella alla ministra Carfagna: “Non possiamo più aspettare”.
“Abbiamo un’occasione unica per dare una svolta radicale al nostro sistema universitario: i fondi dell’emendamento Melilli e del commissario Legnini e la disponibilità della Sapienza e della Tuscia possono portare a un raddoppio dell’attuale offerta formativa. Ma i ritardi del Ministero per il Sud e la coesione sociale nel pubblicare i bandi destinati alle Università rischia di far slittare al 2023 l’attivazione di nuovi corsi universitari. Questo è un ritardo che non possiamo permetterci, né come territorio né come consorzio. Come territorio perché se il sistema pubblico ha stanziato qualcosa come 25 milioni di euro per Rieti bisogna che questi fondi arrivino e subito. Come consorzio perché questa operazione può far fare all’università reatina quel salto di qualità che gli serve per incidere davvero sul territorio”.
Così il presidente della Sabina Universitas Antonio D’Onofrio, durante la conferenza stampa di stamattina a Palazzo Potenziani: accanto a lui la vice presidente Daniela Monteriù e i consiglieri Giorgio Cavalli e Leonardo Tosti. “Capiamo che il momento è quello che è e che le emergenze si accavallano, ma l’appello che facciamo alla ministra Carfagna è di pubblicare quanto prima quel bando, così da poter avere nuovi corsi attivi sin dall’anno accademico 2022-2023”.
L’altra svolta a cui D’Onofrio ha fatto riferimento riguarda il consorzio stesso: “Ha dipendenti capaci e un centro di ricerca di eccellenza: il nostro obiettivo è trasformarlo in una vera e propria impresa di servizi, così da conquistarsi una sua autonomia nel sostentamento. Lo statuto già lo prevede, si tratta di riattivare funzioni nel campo dei servizi agli iscritti e della formazione verso il territorio. Stesso discorso per il centro di ricerca: ha una sua qualità indiscussa ma lavora praticamente solo per l’ALCLI e grazie a una borsa di studio della Fondazione e questo è un peccato”.
Foto: Gianluca VANNICELLI ©