Riceviamo e pubblichiamo la straziante lettera ricevuta dalla redazione di RietiLife da parte della moglie di un carabiniere. “Sono la moglie di un carabiniere. Sposata da quasi trent’anni, con un uomo e padre meraviglioso. Scrivo questa lettera sulla scia delle emozioni, al rientro dall’ultimo saluto straziante di un collega di mio marito…Quando mi sono sposata qualcuno mi disse, sei consapevole che non sposi solo lui ma anche la sua divisa e il suo lavoro? Mi venne da ridere… poi il tempo e gli anni passano, e quelle parole si fanno pesanti, perché ti rendi conto che erano vere. Noi non ci siamo arruolate, non indossiamo una divisa, restiamo nell’ombra della ‘Benemerita'”.
“È in questa ombra – continua la donna nella lettera – che ci sacrifichiamo per i nostri mariti, quante scelte, quanti problemi, quante paure quanti smarrimenti… ma si va avanti per il bene di quell’uomo che hai sposato. Lo supporti, lo consoli nei momenti più bui, ma a volte siamo impotenti perché il ‘meccanismo’ è troppo complicato, e allora ti affidi a Dio e gli chiedi di darti la forza… C’è sempre l’altra faccia della medaglia e la nostra è fatta anche di dolore e di disperazione. A volte, e sta capitando troppo spesso, ti ritrovi davanti ad una bara, e dentro c’è tuo marito, quell’uomo che non hai potuto aiutare, e senti tante belle parole, bei discorsi, tutti presenti ad onorarlo, la grande Famiglia stretta intorno a te, e già sai che da domani sarai sola con dei figli orfani di un sistema che non funziona più, che ha fallito. Ha fallito perché non si fa abbastanza per supportarli psicologicamente, ha fallito perché quando succede non è mai per colpa del servizio. Vanno aiutati, quando è il momento, loro, e non le mogli o le madri davanti ad una bara”.
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