(di Martina Grillotti) L’entrata in vigore del Green Pass, lo scorso 6 agosto, per accedere ai luoghi al chiuso come ristoranti e bar, ha creato non pochi malcontenti, soprattutto tra i titolari delle attività in cui è obbligatorio esibire la certificazione verde, “non siamo poliziotti, i controlli non spettano a noi” è la frase più ricorrente.
Il Viminale, dopo l’iniziale diktat “i gestori dei locali sono obbligati a chiedere il Green Pass, ma non il documento di identità”, è arrivato il chiarimento che “in caso di palese falsità il gestore o il titolare possono chiedere di controllare la corrispondenza dell’identità”. Nel decreto firmato da Mario Draghi si specificavano due fasi, per l’ingresso nei locali: “La prima consiste nella verifica del possesso della certificazione, la seconda nella dimostrazione della propria identità”, ma il prefetto Bruno Frattasi nella circolare chiarisce che la seconda “non ricorre indefettibilmente” e che per i gestori rimane “la natura discrezionale sulla verifica dell’identità”, che diventa “necessaria quando appaia la manifesta incongruenza con i dati anagrafici”. Risolto anche il dubbio che la sanzione in caso di Green Pass contraffatto fosse non solo per l’avventore ma anche per il gestore: “qualora si accerti la non corrispondenza fra il possessore della certificazione e l’intestatario della medesima, la sanzione si applica solo all’avventore”.
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