In occasione del 27 gennaio, ‘Rieti LGBT+ Associazione Arcigay’ ha voluto ricordare quello che è un bene prezioso, il nostro passato: la memoria. Primo Levi ha scritto: “Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”: e noi abbiamo scelto la piazza per questo, per non dimenticare, affinché non si ripetano le atrocità del passato.
Ricordiamo che furono eliminati in modo scientifico tutti coloro che agli occhi del regime apparivano come una minaccia alla “purezza della cosiddetta razza ariana”, in ragione della loro diversità. Abbiamo ricordato ogni singola vittima del nazifascismo e in particolare abbiamo parlato di omocausto, cioè della persecuzione e dell’internamento degli omosessuali nei campi di concentramento.
Tra il 1933 e il 1945, nella sola Germania, vennero arrestati circa 100.000 uomini, accusati di essere omosessuali. Oltre la metà di essi fu condannata ad anni di prigione, mentre a partire dal 4 aprile 1938 si autorizzò la deportazione. Circa 15.000 omosessuali vennero mandati nei campi di concentramento e identificati con un triangolo rosa, cucito sulla divisa all’altezza del petto.
Quel triangolo identificava un perverso, un rifiuto sociale: gli uomini omosessuali furono sottoposti a umiliazioni e sperimentazioni mediche, fino alla castrazione, e migliaia di essi vennero uccisi.
Gli omosessuali furono internati in base al ‘Paragrafo 175’ del Codice penale tedesco.
I Nazisti ritenevano improbabile che gli omosessuali avessero figli e potessero quindi contribuire alla crescita della popolazione, al contrario di quanto avveniva per le donne omosessuali.
Tra gli omosessuali, si registrò oltre il 60% di morti, facendone la categoria con la percentuale più alta di vittime nei lager nazisti. Ma non si tratta solo di percentuali, perché questa barbarie resterebbe tale anche senza dover fornire dei numeri.
Gli uomini omosessuali erano gli ultimi tra gli ultimi e all’interno dei campi di concentramento, neanche gli altri internati si avvicinavano, per non essere associati a loro.
Nella bestialità più totale, il triangolo rosa che portavano sul petto gli omosessuali era due centimetri più grande rispetto agli altri triangoli; li ricordiamo: giallo o stella di David (due triangoli gialli sovrapposti) per gli ebrei; marrone per Rom e Sinti; viola per i Testimoni di Geova; rosso per i prigionieri politici, i massoni e i sacerdoti antinazisti; blu per gli emigrati e i prigionieri politici spagnoli; verde per i delinquenti comuni e nero per gli asociali: vagabondi, disabili, malati di mente, prostitute e donne omosessuali, e appunto il triangolo rosa per gli uomini omosessuali. Un colore che ancora oggi sta a identificare le ragazzine; un colore che serve per ridicolizzare la mascolinità; un colore che non dovrebbe avere barriere e confini: noi scegliamo l’arcobaleno.
Durante il fascismo, anche in Italia si è messa in moto la macchina contro gli omosessuali, e nonostante se ne negasse l’esistenza, per molti di loro ci fu il confino.
In Italia non vi erano leggi o articoli che criminalizzavano l’omosessualità perché si legge, sempre in atti ufficiali, che: “Per fortuna ed orgoglio dell’Italia il vizio abominevole che ne darebbe vita non è così diffuso tra noi da giustificare l’intervento del legislatore”.
Ma nonostante ciò, si poteva essere accusati di omosessualità anche attraverso la semplice diffamazione. Le tre sanzioni fondamentali utilizzate erano: la diffida, l’ammonizione e il confino. Furono oltre 20.000 le pratiche di ammonizione nei confronti degli omosessuali e molti di essi furono confinati fino a 5 anni.
Oggi, a distanza di 76 anni, le persone omosessuali non hanno ancora pari diritti, ma sono libere di esprimersi, e il modo migliore per farlo è esporsi e far vedere che esistono, che esistiamo, e soprattutto che non abbiamo paura, perché non deve esistere paura nell’essere sé stesse e sé stessi.
Ricordiamo i tanti uomini omosessuali: umiliati, torturati e uccisi; ma nel contempo onoriamo il ricordo delle donne omosessuali, non degne, durante il nazifascismo, neanche di essere prese in considerazione, in quanto utili per la riproduzione.
Tutte e tutti: omosessuali, bisessuali, transgender e cisgender, siamo il risultato di chi c’era prima di noi, e tornando a quanto detto prima, la memoria è la giusta strada per poter ricordare le tante vittime e nel contempo, essere visibili; una visibilità e una presenza che sono necessarie per rivendicare diritti, libertà, rispetto e inclusione sociale di ogni essere umano: nessuna e nessuno esclusi.
Ringraziamo tutte le persone presenti e chi ha dato la propria adesione a questa iniziativa: ANPI, ARCI, ESC ARCI, il centro antiviolenza Angelita, il centro antiviolenza Il Nido di Ana, CGIL, Cittadinanza Attiva e Tribunale dei Diritti del Malato, Controvento, La Leggera, Nome Officina Politica, Più Europa, Rete Studenti Medi, Sabina Radicale, Sinistra Italiana: grazie.
Lo scrive Arcigay Rieti in una nota
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