Il Decreto Cura Italia ha esteso la tutela assicurativa INAIL al lavoratore che contrae l’infezione da Covid-19 in occasione di lavoro o anche in itinere, applicando allo stesso (o ai suoi familiari in caso di decesso) il diritto alle prestazioni previste dal D.P.R. n. 1124/65 per la cosiddetta malattia-infortunio. La notizia si è diffusa in un batter d’occhio e al 21 aprile 2020 sono arrivate all’INAIL 28.381 denunce di infortunio da Covid-19. Praticamente un caso su quattro di tutti i contagi è ricondotto al luogo di lavoro (fonte: Report INAIL del 30 aprile 2020).
Per quanto questo provvedimento sia comprensibile nei confronti di tutti coloro che lavorano in ambito sanitario o a strettissimo contatto con il pubblico, la normativa dà adito a possibili “storture” che coinvolgono le attività produttive in generale. L’automatismo secondo cui il contagio di un lavoratore che contragga il virus si trasforma in infortunio sul lavoro è assolutamente da evitare e anzi, sul tema, Confartigianato ha già chiesto un chiarimento da parte del Governo e dell’INAIL.
Ma non solo, per l’impresa che dovesse “subire” tale infortunio scatterebbe subito la responsabilità penale. Senza scendere troppo nel particolare, ricordiamo che parliamo di una responsabilità diversa da quella civile, è una responsabilità che lo Stato disciplina quando occorre reagire a comportamenti gravi, che mettono in discussione le fondamenta della società politica e va a tutelare le libertà fondamentali. Il reato penale si configura nell’atto che tende a minare la libertà dell’altro. Nel caso di infortunio da contagio Covid-19 non viene punito il reato, ma anche solo il rischio che esso possa accadere. Una deriva che può costare cara al datore di lavoro e alle imprese in generale.
Questa premessa per dire con quale lungimiranza si pone il Governo, il quale se ne frega delle sofferenze che vivono le imprese, lavoratori, istituzioni ecc e aiuta a fronteggiare l’emergenza introducendo “una norma capace di creare all’interno di ciascun luogo di lavoro una nuova fonte di infortunio”. Tutto questo grazie al Decreto Cura Italia che equipara il contagio avvenuto sul luogo di lavoro a un infortunio sul lavoro, riconoscendo all’interessato le conseguenti garanzie INAIL. Tant’è che il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia all’INAIL, creando quell’automatismo sul quale Confartigianato esprime una netta contrarietà.
Ma il concetto di infortunio sul lavoro, disciplinato nel 1965, non presupponeva un “evento occorso per causa violenta in occasione del lavoro”? Se l’apparato normativo rimanesse invariato migliaia e migliaia di datori di lavoro sarebbero imputati di “lesioni personali colpose” o di “omicidio colposo”, per non aver saputo impedire il contagio.
Ma come è possibile provare che il contagio sia avvenuto sul luogo di lavoro e non altrove? Oltre all’angoscia del domani, oggi un imprenditore deve pensare anche a questo. Ai costi a cui potrebbe andare incontro il malcapitato, agli anni e anni in cui rimarrà indagato, agli avvocati, alle udienze, i testimoni, ecc.
Confartigianato Imprese Rieti ritiene che quanto avvenuto “non solo sia sbagliato, ma addirittura folle. Nessuno – afferma Maurizio Aluffi, Direttore dell’Associazione – può essere chiamato a rispondere di un rischio generico di salute del quale non può controllare la fonte”.
È una bocciatura senza appelli quella di Confartigianato Imprese Rieti. “Le imprese – continua Franco Lodovici, Presidente di Confartigianato Imprese Rieti – stanno già sostenendo tanti costi per garantire la sicurezza sul lavoro. Mascherine, termoscanner, analisi, divisori in plexiglass, applicazione di protocolli condivisi, facciamo di tutto per i nostri collaboratori, ma questo è troppo”.
Confartigianato sta sostenendo gli imprenditori con iniziative mirate a garantire la salute nei luoghi di lavoro, attraverso vademecum, guide, video, informazione, segnaletica di sicurezza. Tuttavia “è indispensabile – sottolinea Maurizio Aluffi – introdurre una misura legislativa che escluda la responsabilità degli imprenditori nel caso un dipendente contragga il Coronavirus. Lo prevede la direttiva europea datata 12 giugno 1989, che consente agli Stati di escludere la responsabilità dei datori di lavoro per atti dovuti a circostanze estranee, anormali, imprevedibili, eccezionali, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate, nonostante tutta la diligenza possibile. Il Decreto di maggio, in discussione in questi giorni, è l’occasione per farlo”.
“Le attività economiche – conclude il Presidente di Confartigianato Imprese Rieti, Franco Lodovici – non possono ricominciare con serenità, stando l’attuale situazione di incertezza. Solo un intervento legislativo può scongiurare un’attribuzione di responsabilità alle nostre imprese, ripetiamo, non dovuta”.
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