SIAMO TUTTI QUI ‘! di Stefania Santoprete.
Se avete tra le mani questo numero e state leggendo questo editoriale, vorrà dire che il 21 dicembre è passato e nulla è accaduto. Qualcuno se lo augurava, qualcuno ci sperava. Spazzato via tutto, 72 ore fermi in asse e poi… in un sol colpo via Monti, via Berlusconi, via la Borsa, via la politica e l’economia, l’Italia e l’Europa: tutti all’inferno! E se davvero il mondo andrà avanti, insieme al calendario, potremo tornare indietro giusto un attimo per dire che mai lo dimenticheremo questo 2012 horribilis, anno bisesto anno funesto. Mai detto fu più appropriato: “un anno segnato da una crisi così grave da imporre l’assoluta centralità del problema della sopravvivenza quotidianamente alimentata dalle preoccupazioni della classe di governo, dalle drammatizzazioni dei media, dalle inquietudini popolari; dalla paura di non farcela, una paura reale, che non ha risparmiato alcun soggetto della società, individuale o collettivo, economico o istituzionale. Basti pensare all’ansia dei piccoli imprenditori rispetto all’ipotesi di dover chiudere attività e impianti; alle insicurezze delle famiglie esposte a un drastico impoverimento delle risorse e degli stili di vita; alla improvvisa fragilità di ricavi e di autonomia avvertita dalle banche; alla strisciante sensazione dei sistemi territoriali di veder crollare la loro orgogliosa vitalità; al quasi terrore delle classi di governo di fronte all’incubo dello spread che si impenna e del default che si avvicina; allo sbandamento di quasi tutti noi europei per una crisi forse senza ritorno della moneta comune e della stessa coesione comunitaria. Nessuno, si può dire, e’ rimasto fuori dalla paura di non sopravvivere alla crisi e ai suoi vari processi”, così fotografa esattamente la situazione il Rapporto Censis. Un anno in cui abbiamo detto addio ai nostri miti adolescenziali (Donna Summer, Robin Gibb, Whitney Houston, Etta James, Lucio Dalla, per dirne solo alcuni!) e a numerose persone, sconosciute, che in preda ad un attimo di disperazione si sono tolte la vita. Un anno in cui Rieti si è risvegliata sotto una spessa coltre di neve e vi è rimasta avvolta per giorni tra polemiche, disservizi ma anche una ritrovata solidarietà. In cui siamo stati investiti da uno slogan che invitava a Metterci del nostro rivelatosi vincente, alle primarie prima e alle elezioni poi, comportando una sterzata politica non indifferente per il nostro Comune. Un anno in cui si succedevano notizie nefaste per il nostro nucleo industriale, rimbalzate tra Ritel, Comifar, Conforama, Solsonica, Braille Gamma, Pavimental, un lento declino economico e occupazionale, aggravatosi negli ultimi due anni, e culminato con la grande manifestazione contro la chiusura della Schneider. E dove non ha potuto l’economia è intervenuta la mala gestione a decretare l’uscita di scena di una Cooperativa dal passato glorioso, la ’76. Un anno culminato con la crisi della Sanità, la sfida Gianani Polverini su tutti i giornali, la chiusura di due ospedali ed il probabile declassamento dell’ospedale provinciale. Un’annata dinanzi alla quale persino la Madonnina di Sant’Anatolia ha versato lacrime (false? vere?), mentre i reatini affogavano i loro dispiaceri per un’estate all’insegna dell’austerity nelle proposte alternative del restaurato quartiere di San Giorgio. 2012 delle inchieste: quella sulle gestione allegra dei fondi pubblici destinati ai gruppi consiliari in Regione, e quella sull’affidamento del servizio di controllo di gestione del Comune di Rieti oberato dai debiti. 365 giorni di fatica piena, con alle spalle uno Stato padrone che vessa i propri figli in nome di un’Europa matrigna tutta intenta a reclamare sacrifici in suo onore. Con amarezza constatiamo come la nostra sarà l’unica epoca nella storia in cui i figli staranno peggio dei propri padri. Ed intanto intorno a noi sentiamo ripetere “che tristezza!”. Ce lo dicono in fila alle poste, in coda in banca, dentro gli uffici pubblici. Ci raccontano di quando si andava ‘a bottega’ a 13 anni ad imparare un mestiere, di una vita passata a lavorare sognando il giorno in cui si sarebbe andati in pensione per godersi finalmente ciò che era fuggito via velocemente, quei figli cresciuti e poi sposati tra mille difficoltà… la casa in affitto… i nipotini da accudire… Nonostante tutto sarebbe stato un bel tempo quello, poteva ancora essere uno scampolo di vita pieno di soddisfazioni e ritorni. Ed invece è il tempo degli incubi, delle notti insonni a rigirarsi nel letto domandandosi “come faremo?”, della preoccupazione per il proprio futuro e per quello dei figli ormai adulti e ostaggio di questa economia, il tempo dei non acquisti, del gelo e del buio tentando invano di mantenere bassi i consumi di quelle bollette che rosicano fino all’osso anche quel poco che è rimasto. E c’è un grande senso di ingiustizia in tutto questo, per i protagonisti e per chi vive loro accanto. E’ questo il prezzo per l’onestà? E’ questo il senso dello Stato? Che considerazione dovremmo avere di chi non mostra alcun riguardo per quanti hanno tenuto saldamente conto di certi principi, per chi ha osservato le regole, mantenendo fede ad ogni impegno preso? Per chi ha invece permesso che altri sperperassero fondi e godessero di una posizione di privilegio conservata attraverso raggiri e sotterfugi? Quale lezione può venirne alle nuove generazioni? E’ uno Stato civile colui che dimentica o lascia in un angolo le ‘unità non più produttive’? O quello che, per mettersi in sicurezza come occorre, interviene così pesantemente nella vita dei propri cittadini operando un vero e proprio mobbing sociale, togliendo ogni certezza nel presente ed ogni speranza nel futuro? Ed allora che il 2013 porti con sé la voglia di riscatto, la consapevolezza della dignità calpestata, una razionalità lucida, capace di entrare in campo in determinati momenti a difesa di un popolo che è stanco di sottostare ai soliti giochetti, che ha voglia di voltare pagina e di riacquistare quel briciolo di speranza per pronunciare senza tremare la parola “Domani”. Ma… non sarà facile. Per nessuno.