Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviata alla redazione.
Cara Redazione, sono Walter.
QUELL’ANNO DELLA MACCHIA NERA
E mi ricordo
quando tanto tempo fa
quell’anno che era iniziato
con quei giorni strani.
Non c’era stato l’inverno e le stagioni
sembrava mescolarsi senza sosta.
C’erano quasi sempre le stelle
e a notte fonda soffiava
solo un fievole vento.
Per strada vagavano foglie
e qualche cane randagio
e si sentivano risate dalle finestre.
Mi ricordo
che tutto era iniziato in sordina,
in giorni di sole che la gente
bramava per la sua serenità.
Poi all’improvviso
ad ogni alba e ogni tramonto
nuove disgrazie e nuove leggi
vibravano nell’aria e nell’etere
e sulle bocche di tutti.
E il sapore di quei giorni assolati
cominciava a sapere di terrore.
Quando lo chiamarono quarantena,
nemmeno allora la gente capì.
Tutti si convincevano che
sarebbe andato tutto bene,
con canzoni, bandiere,
disegni e inni alla patria
ma l’unica cosa che prima doveva guarire
era la mente e l’ignoranza.
Mi ricordo tutto questo:
quando la Terra si era fermata a respirare,
quando era diminuito lo smog,
l’inquinamento, i consumi…
quando era tornata l’importanza
di un abbraccio mancato,
e ci restava solo una telefonata,
per fortuna anche la tecnologia.
Ma le persone cedevano a questa piaga
e molti ci lasciavano, e noi inermi
piangevamo in casa.
Che quei muri ormai
erano la nostra protezione, il nostro specchio:
le persone si ritrovarono faccia a faccia
con se stessi, le loro vite, i loro cari.
Ed era questa la paura peggiore.
Eppure l’unico raggio di sole che si vedeva
era filtrato dalle persiane
o dallo schermo di un telefono.
Parole vane e lacrime amare.
Paura e pandemia.
Morte e silenzio.
Mi ricordo ancora
il sapore di quell’aria che si respirava,
di guanti di plastica e candeggina.
E da dietro una mascherina,
un’aria che sapeva di polvere.
E nessuno si avvicinava più, nessuno
osava salutarti con la mano.
Restate a casa, dicevano,
ma le persone non capivano
anche se ormai c’eravamo tutti dentro.
E mi ricordo
che dopo dieci giorni
mi mancava più un abbraccio sincero
che una boccata d’aria.
Sere solitarie in silenzio
a scrivere ad amici lontani,
a parlare con persone che temevi
non avresti più rivisto,
di cose che avresti preferito non sapere.
Mi ricordo
che passó parecchio tempo,
ricordo che tutto il mondo lottó
e che gravi furono le perdite.
Infine venne la pioggia e lavó via tutto.
E quando ritornó il sole
i fiori erano gia sbocciati
e le api erano tornate al lavoro.
Cosi quella macchia nera morì,
sgretolando i muri di ogni casa
e facendo spazio ad aria nuova.
Si sentiva che la natura stava
rigenerando se stessa.
La Terra era purificata.
E così anche noi.
E mi ricordo
quando dissero alle radio
che restare a casa non era più un obbligo!
E piansi.
E scesi in strada.
C’era così tanta gente che era tutta una festa.
E abbracciai tutti, tra lacrime e risate.
Rividi la mia famiglia.
I miei amici.
I miei cari.
Vidi per la prima volta
che le persone non nascondevano
delle lacrime di gioia.
Era una giornata bellissima.
Era l’inizio dell’estate.
La nostra ripresa.
C’era ancora il sole e si stava benissimo.
E quell’aria nuova sulla pelle
la ricorderó per sempre.
Formichetti Walter ©
19.03.2020
Congratulazioni. E’ molto bella e veritiera. Grazie