“Con poche righe Intesa San Paolo comunica la chiusura della filiale a Rocca Sinibalda con un taglio chirurgico, dimenticando e facendo pagare alle aree interne del Lazio uno scotto gravissimo”: lo dichiarano in una lettera inviata a Intesa San Paolo e per conoscenza alle istituzioni di Governo, al Parlamento, alla Regione Lazio e alla Provincia di Rieti, il sindaco di Rocca Sinibalda Stefano Micheli e i sindaci dei Comuni della Valle del Turano, Dante D’Angeli (Ascrea), Danilo Imperatori (Belmonte in Sabina), Cesarina D’Alessandro (Castel Di Tora), Maria Pia Mercuri (Collalto Sabino), Domenico Manzocchi (Collegiove), Beniamino Pandolfi (Colle Di Tora), Mauro Novelli (Longone Sabino), Luigino Cavallari (Nespolo), Danilo D’Ignazi (Paganico Sabino).
“Costruiamo la Banca numero uno in Europa su basi e valori solidi recita l’istituto bancario nelle sue campagne pubblicitarie e di comunicazione. Del resto, San Paolo è un’impresa, e la vocazione dell’impresa è il profitto. Se Intesa San Paolo ha deciso di chiudere faremo tutto quanto è necessario per convincerli che non è la scelta giusta, che Rocca Sinibalda rappresenta in questa battaglia l’intera Valle del Turano, 11 comuni uniti e 4000 anime” dicono i sindaci.
“Questo il bacino d’utenza reale della nostra filiale, 11 comuni che a partire da Rocca Sinibalda e fino a Turania, al confine con l’Abruzzo, hanno come unico riferimento la filiale di Rocca Sinibalda. Cittadini, imprese, commercianti correntisti e clienti, i Comuni che vi tengono le Tesorerie Comunali, anche se gestite altrove. Ma Rocca Sinibalda, come centinaia di altri piccoli comuni, è ‘meno importante’. Essere piccoli si conferma ancora una volta una disgrazia, eppure è proprio quella popolazione così esigua che, resistendo nei nostri piccoli paesi, fa si che l’Italia possa ancora considerarsi una nazione, vantando nel mondo le sue bellezze artistiche, architettoniche e paesaggistiche, la qualità delle acque e delle sorgenti. In un momento storico in cui la tutela e il rilancio delle aree interne entrano con forza nel dibattito sul futuro dell’Italia, con fondi e strategie per contrastare lo spopolamento e rilanciare i territori, chiudere gli sportelli bancari per mere questioni di profitto rischia di assestare un colpo mortale alla fiducia e alle speranze di tutte quelle persone, imprenditori, commercianti, agricoltori, giovani, che nelle aree interne sono rimasti e vogliono costruire la loro vita e il loro futuro. Poi, da persone avvedute e che sanno come va il mondo, ci si ricorda della fondamentale distinzione tra realtà e propaganda e che Intesa San Paolo è impresa privata, che il suo scopo è il profitto e i dividendi per gli azionisti. E tutto torna. E allora tutte le belle speranze sulle aree interne, le considerazioni sul terremoto che è qui, a un passo da noi, che però il territorio ha un suo valore e che può crescere, se ci lavoriamo insieme, svaniscono. Rimane lo sconcerto, il vuoto. Alle amministrazioni locali e ai sindaci l’onere di celebrare il funerale, e l’accusa di non aver protetto i territori, di non aver fatto abbastanza. Noi, che abbiamo deciso di investire il nostro tempo a favore delle comunità, lottiamo ogni giorno per salvare il salvabile. A Vallecupola mica hanno gli stessi diritti di cittadinanza di qualsiasi cittadino in Italia. Stesso ragionamento fanno le banche”.
“Come voleva fare Poste Italiane, prima che il governo e le regioni intervenissero. Ma i sindaci lottano, non si arrendono. Io non mi arrendo, perché oggi il problema è il nostro, domani del comune vicino e dopodomani dell’intera Provincia. La nostra è la battaglia di tutti, di tutta la Provincia di Rieti. Di tutti i 2450 comuni, piccoli e piccolissimi che Intesa San Paolo vuole chiudere. E a tutti, a tutti i livelli istituzionali, associativi e sindacali chiediamo di sostenere le nostre ragioni e la nostra battaglia. Se quelli di Intesa San Paolo sono manager accorti come affermano di essere, dovrebbero capire che restare è un invito al futuro, prima ancora che un onere di bilancio. Per questo invitiamo Intesa San Paolo, i suoi vertici, a ripensare la loro scelta, a restare, a venire a trovarci, per capire cosa è realmente essere un paese di 800 anime sull’Appenino e non solo un puntino su una carta geografica aperta su una scrivania di Torino o Milano” concludono i sindaci.
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