È senza parole Gioacchino Fusacchia che allenò il piccolo Kobe al minibasket nei suoi anni reatini. “Ricordo un torneo – dice al Corriere di Rieti – lui aveva soltanto 8 anni e la squadra che allenavo aveva in campo ragazzi più grandi di lui, ma venne da me e mi chiese di poter giocare. Quindi decisi di farlo scendere in campo lo stesso e già allora tutti capimmo che avevamo di fronte un predestinato a diventare una stella del basket mondiale e cosi infatti è stato. Era un bambino educato e molto intelligente, appena arrivato a Rieti dopo qualche mese, nonostante facesse finta di non capirlo, parlava perfettamente l’italiano che aveva imparato appena entrato nella scuola elementare di Lisciano a Vazia. Non so cosa dire, rimarrà un grande vuoto per la nostra comunità che lo ha conosciuto da bambino quando correva sul parquet del nostro palazzetto dello sport”.
“Quando l’ho sentito non ci volevo credere – aggiunge Giuliano Colarieti, ex dirigente della Sebastiani, che a LaPresse racconta – ho ricordi bellissimi di quei tempi. Kobe aveva 6-7 anni, era una peste. Era velocissimo e si intravedeva quello che sarebbe poi diventato. Era esplosivo, tanto che giocava anche con i più grandi. Seguiva sempre il padre, voleva giocare sempre. Mi ricordo che il padre Joe lo doveva rincorrere ovunque, a volte lo prendeva di peso e lo faceva salire in casa direttamente dal balcone. Il mio grande rimpianto è non essere riuscito a riportarlo a Rieti, ci ho provato diversi anni fa. Sono stato vicinissimo a farlo venire contattando il suo entourage, ma non è stato possibile”.
“Per noi resterà un immortale, un supereroe. In queste ore ci siamo sentiti e ancora ci sentiamo con amici, ex giocatori e siamo tutti increduli – ha detto Giuseppe Cattani, presidente dellla NPC Rieti sempre a LaPresse – Da ragazzino ho avuto la fortuna di giocare con il padre Joe quando era qui a Rieti, nel 1984, durante un torneo in Sardegna. Kobe era piccolo, aveva 6 anni, seguiva sempre la squadra con la mamma e le sorelle. Sono tanti i ricordi che ci legano a Kobe, giocava sempre al palazzetto prima e dopo le partite del papà. Anche con le palle di carta si vedeva il talento. Ieri è stata una sensazione strana, ci ha toccato tutti perché in città lo sentivamo come uno di famiglia. Per la prossima partita in casa stiamo cercando di organizzare una cerimonia per ricordarlo, vorremmo provare a ritirare una maglia con il suo numero”.
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