In Italia, da qualche anno a questa parte, dilaga il vezzo di storpiare il titolo di questa o quell’opera, di questo o quel libro, o canzone o film o semplice definizione cercando, così, di ampliarne l’effetto. Un vezzo, o un malvezzo, ma tant’è e dobbiamo fare i conti con questa moda che sa tanto di pigrizia perché, pensa forse chi ne abusa, non vale la pena di faticare quando hai tutto davanti, bello e apparecchiato. Io, che pigro non sono mai stato, preferisco invece le frasi originarie, le definizioni originarie perché così rendo merito a chi le ha inventate.
È per questo che oggi credo sia giusto riprendere, per quello che era, il titolo di un film – strepitoso, a dire il vero – dei fratelli Coen, cioè Non è un paese per vecchi se voglio definire la situazione degli anziani nel nostro (talvolta sventurato) Paese.
Perché, se è vero che è giustissimo che le nostre Istituzioni si spendano per creare occasioni ed opportunità per i nostri giovani, oggi nel limbo della disoccupazione e dell’inanità, è altrettanto necessario che lo facciano per la componente più anziana della nostra popolazione. Ma, ed è doloroso sottolinearlo, ci sono vecchi che, più di altre persone in età avanzata, avvertono, come ferite sulla pelle, il senso di abbandono che li circonda. Sono i «miei» vecchi, quelli che hanno vissuto dapprima il dramma del terremoto e, quindi, quello dell’essere sradicati dai luoghi dove sono nati, dove hanno vissuto, dove hanno allacciato le prime amicizie e, perché no, i primi amori. Luoghi che i nostri vecchi hanno disseminato del migliore terreno possibile per un popolo, per una gente: i ricordi.
Il mostro che s’è levato dal ventre della terra e che, in pochi secondi, ha divorato case e vite, s’è lasciato alle spalle inumane sofferenze, come quelle di chi s’è visto costretto a lasciare la propria casa e, con esse, i ricordi di una vita.
Oggi la mia voce si leva in difesa di queste donne e di questi uomini che si sentono emarginati perché, a differenza di altri che vivono la vecchiezza come condizione quotidiana, hanno perduto anche la memoria visiva, tattile del loro passato. Hanno perso il gusto di andare a comprare il pane seguendo la meravigliosa traccia creata dal forno del paese; hanno perso l’opportunità di rivivere il passato, forse anche non rimpiangendolo.
L’Italia a questi nostri anziani non deve solo assistenza e tutela, deve soprattutto il compito di salvaguardare la memoria. E questo può passare, se proprio non si riuscirà a ricostruire laddove il mostro ha colpito, almeno cercando imitare la vecchia realtà fatta di piccoli gesti spazzata dal terremoto, creando nuovi luoghi di aggregazione in cui gli anziani non si sentano parcheggiati, ma parte di un progetto che possa occupare le giornate del presente, il tempo che li separa dall’uscita di scena.
Al presidente del Consiglio, che mi sembra volere intraprendere questo percorso, chiedo solo di fare presto. Chiedo a Giuseppe Conte, di spendersi per i nostri vecchi, quelli che piangono ancora a distanza di anni per il terremoto, come farebbe per i «suoi», sentendoli parte di una famiglia, immensa e carica di problemi, ma pur sempre la «sua» famiglia.
Oggi serve un primo ministro che agisca, al di sopra ed al di là delle logiche di conventicole che appaiono misere aggregazioni di interesse.
Presidente Conte, venga qui, tra noi, non si barrichi dietro una raffica di discutibili annunci, come ha fatto durante la conferenza stampa di fine anno, e faccia quel che promette, come fece ad onor del vero Berlusconi con il terremoto dell’Aquila dando risposte immediate e fatti senza fare passerelle.
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