“Da recenti dichiarazioni dell’assessore alla Sanità della Regione Lazio apprendiamo che la decisione finale sul destino dell’Ospedale Grifoni di Amatrice sarebbe presa: la struttura sarà riedificata dove era prima del sisma (o quasi)”: lo scrive il comitato 3.36 in una lunga lettera.
“Da due anni il Comitato Civico 3e36 di Amatrice e Accumoli ha posto con forza l’attenzione sul tema molto sentito della ricostruzione dell’Ospedale Grifoni con convegni, dibattiti pubblici, petizioni, raccolte firme, e con la stesura di un progetto condiviso, validato e sostenuto dalla raccolta di 450 firme di cittadini residenti di Amatrice, che chiedeva la realizzazione di una struttura ospedaliera a servizio di una “area vasta”, localizzata in un sito adeguato e facilmente accessibile e che consentisse un futuro potenziamento della struttura al servizio delle comunità, rappresentando anche un volano di sviluppo per le aree interne già in via di spopolamento. Ma la scelta di ricostruire l’ospedale nel sito originale è davvero supportata da motivazioni convincenti? Il Comitato Civico 3e36 continua a esprimere proprie forti perplessità” aggiungono dal comitato.
“Perplessità che, approfondendo il processo che ha portato alla attuale definizione della localizzazione e alle ragioni con cui si sono scartate opzioni provenienti da più soggetti (istituzionali e non), aumentano piuttosto che diminuire, lasciando trapelare lo svolgimento di un percorso decisionale che risulta quantomeno “calato dall’alto”. Perplessità ribadite con forza anche nel corso dell’incontro dello scorso 4 ottobre con l’assessore Di Berardino e il direttore dell’Ufficio Ricostruzione Lazio D’Ercole. Riportiamo una ricostruzione basata non su delle voci, ma su una approfondita analisi dei fatti. Nel marzo 2017, l’Opera Nazionale Mezzogiorno d’Italia con una delibera donava a titolo gratuito alcuni terreni siti nell’area del complesso del Don Minozzi “per la realizzazione del nuovo ospedale Grifoni di Amatrice distrutto dal sisma del 2016”. Ma il 5 settembre 2017 (prima della finalizzazione dello studio di fattibilità, che doveva individuare il miglior sito tra quelli proposti) la Regione Lazio scrive all’Opera e rifiuta l’offerta perché, sulla base di “elementi tecnici e logistici”, ritiene di confermare la ricostruzione dell’ospedale sulla medesima area ove insisteva prima degli eventi sismici” continua 3.36.
“A ottobre 2017 cittadini del territorio e Sindaci dei Comuni limitrofi chiedono alla Regione di prendere in considerazione l’opzione della delocalizzazione della struttura sulla via Salaria. Nessuna di queste due opzioni – l’area del Don Minozzi o la Salaria – viene presa in considerazione e seriamente valutata. Nello studio di fattibilità viene, invece, incredibilmente presentata e esaminata come unica opzione potenzialmente alternativa al sito “pre-sisma”, un’area in località Cornillo Vecchio, proposta dal Comune di Amatrice, che lo studio stesso giudicherà non idonea per vincoli paesaggistici, idrogeologici, urbanistici e di viabilità. Il 26 settembre 2018 viene approvato lo studio di fattibilità nel quale viene inevitabilmente indicato di ricostruire l’ospedale nel sito originario. D’altra parte, lo stesso studio rileva che le caratteristiche del terreno nel sito originario impongono “la necessità di prevedere anche opere di consolidamento dei versanti che circondano il lotto” e esistono “limitazioni delle soluzioni planivolumetriche all’interno dell’isolato”, che tradotto significa che l’intervento costerà di più e i servizi che l’ospedale potrà offrire saranno limitati dalle sue dimensioni massime ammissibili. Perché la voce dei cittadini è rimasta inascoltata? Perché non è stata valutata la fattibilità tecnico-economica e funzionale delle altre due ipotesi di localizzazione? Perché è stato adottato un percorso decisionale nel quale i cittadini sono sostanzialmente chiamati a ratificare decisioni prese dall’alto e non un processo effettivamente partecipato? Auspichiamo che anche grazie all’intervento dell’attuale Amministrazione comunale sia possibile, per una volta, fare marcia indietro e indirizzare i nostri soldi in opere pubbliche che siano realmente il frutto di processi condivisi, utili al territorio e economicamente sostenibili” conclude 3.36.
Foto: RietiLife ©