Sarà presentato domenica 13 ottobre 2019, alle ore 17,00, alla presenza del vescovo di Rieti Domenico Pompili, il restauro del grande dipinto su tela, che orna l’altare maggiore della chiesa parrocchiale di San Giovanni Reatino, un borgo di origine medievale alle porte di Rieti, lungo la via Salaria.
L’intervento si pone nell’ambito della programmazione ordinaria dell’attività di tutela della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Frosinone, Latina e Rieti, diretta dalla dott.ssa Paola Refice, che ha predisposto una serie di interventi finalizzati a favorire il restauro di alcune opere d’arte mobili collocate nel territorio di sua competenza.
L’opera, completamente sconosciuta agli studi, ritrae la Madonna con il Bambino e i santi Giovanni Battista, Lucia, Francesco d’Assisi e Apollonia e fu realizzata verosimilmente per iniziativa di Virgilio de Vincentiis che, secondo un’epigrafe posta sopra la porta d’ingresso, fu il promotore dei restauri dell’edificio dopo il terremoto del 1703.
La composizione prevede la Vergine assisa su una coltre di nubi, intenta a toccare delicatamente una corona di fiori. Il Bambino che tiene sulle braccia è rivolto verso san Giovanni Battista e agita vivacemente una pezzuola bianca, che allude probabilmente al velo con il quale, secondo la tradizione, la Veronica asciugò il volto di Cristo durante il percorso al Calvario. I santi in adorazione sono accompagnati dai rispettivi attributi iconografici recati da una coppia di putti: le tenaglie per sant’Apollonia, protettrice del male ai denti e il piatto con i bulbi oculari per santa Lucia, alla quale compete il patronato sulla vista. San Francesco è assorto nella contemplazione con le mani incrociate sul petto secondo un’iconografia che risente, seppur tardivamente, dell’istituzione di nuove famiglie francescane – come quella cappuccina – e si ripete con l’intento di esaltare la contemplazione del divino e l’offerta di sé.
L’artista che realizzò la tela di San Giovanni Reatino è ancora privo d’identità, ma fu sicuramente attivo tra il Seicento e il Settecento, un periodo fortemente influenzato dalla cultura tardo barocca, che penetrò in provincia grazie alla visione diretta dei modelli romani e la diffusione delle stampe dalle quali si ricavavano le derivazioni da corrispondere al gusto estetico dei committenti. Nella tela in questione sono evidenti, tra l’altro, i richiami a Sebastiano Conca, Pier Leone Ghezzi e Carlo Maratta nello schema compositivo ascendente, ma anche per l’uso di stravaganze iconografiche, come la curiosa chioma scapigliata dell’angelo di sinistra e il petto pronunciato di san Giovanni, forse destinato a una figura femminile poi cambiata in corso d’opera.
Prima del restauro la tela presentava un preoccupante stato conservativo con diverse lacerazioni, bruciature e altre criticità dovute tra l’altro a una caduta accidentale, che aveva causato lo sfondamento del supporto e numerosi tagli procurati dall’impatto. Nel tentativo di rimediare ai danni, sono state effettuate delle operazioni che hanno provocato gravi deformazioni a carico del supporto con perdita di colore e inspessimento di sostanze estranee, che nel tempo sono ingiallite e mescolate a uno spesso strato di polvere e nerofumo tanto da alterare sensibilmente la corretta lettura estetica del dipinto, che presentava anche varie abrasioni dovute a puliture eccessivamente aggressive.
Un elemento prezioso ricavato dal restauro ha riguardato la forma della tela, che era originariamente quadrangolare; non si esclude pertanto che questa occupasse una cornice diversa da quella attuale, senza escludere la possibile retrodatazione alla fine del Seicento e la provenienza da un altro edificio – se non dallo stesso ma con una compagine espositiva diversa – di cui però non si ha, per il momento, nessuna traccia. La pulitura ha permesso di far tornare alla luce la cromia originale dell’opera mettendo in evidenza la ricchezza e la consistenza delle pennellate, decise e puntuali, che hanno costruito la composizione senza l’ausilio del disegno, dimostrando così una grande capacità di interpretazione delle proporzioni e delle forme da parte dell’artista.
Il restauro, diretto per la Soprintendenza dal dott. Giuseppe Cassio, è stato realizzato dalla dott.ssa Anna Paola Salvi con la collaborazione della dott.ssa Livia Marini su progetto delle dott.sse Chiara Arrighi e Monica Sabatini, mentre le indagini diagnostiche sono state effettuate dal prof. Stefano Ridolfi della Ars Mensurae di Roma e sono consistite nella fluorescenza UV, riflettografia infrarossa, fluorescenza X e analisi al carbonio, che ha confermato la datazione della tela tra il 1675 e il 1778.
Il restauro effettuato, pertanto, intende rappresentare non solo la felice riscoperta di un dipinto che arricchisce il corpus della pittura tardo barocca reatina, ma anche un momento imprescindibile per l’avvio di un auspicato processo di valorizzazione della chiesa, che necessita ancora di interventi conservativi – si pensi all’altare di sinistra con presenze pittoriche cinquecentesche interessate da un recente intervento d’emergenza atto a scongiurare danni irreparabili – attraverso i quali sarà possibile conoscere e apprezzare la storia e la fede di un borgo apparentemente dimenticato.
Foto: SABAP LAZIO ©