Scriveva per il quotidiano Il Mattino il giovanissimo Giancarlo Siani, che, qualche giorno dopo aver festeggiato il suo ventiseiesimo compleanno, fu colpito a morte il 23 settembre 1985 da sicari della camorra. Lo uccisero perché aveva il torto di essersi occupato dei legami d’affari tra rappresentanti della politica e della camorra locali. Gli affari in ballo erano diversi in quegli anni, tra i quali la ricostruzione post terremoto del 1980, un business di miliardi di lire, visto che il sisma aveva distrutto 150 mila edifici e migliaia di strade. Furono necessari 12 anni e tre pentiti perché giustizia fosse fatta.
Ci è rimasto nel cuore questo coraggioso giovane che, nonostante qualche chiaro avvertimento, aveva continuato a indagare e a scrivere ciò che non avrebbe mai dovuto: gli intrecci tra politica locale e criminalità organizzata finalizzati all’acquisizione di appalti. Aveva origini borghesi, proveniva da una famiglia agiata e avrebbe potuto avere un futuro più tranquillo. Non fu così perché scelse la strada più difficile per un giovane meridionale, quella di affrontare con coraggio e determinazione la via della verità e della giustizia, appoggiando con le sue indimenticabili corrispondenze da Torre Annunziata i giudici e le forze di polizia che combattevano (e combattono) il malaffare nei dintorni del Vesuvio.
Scriveva con passione e impegno civile il giornalista Giancarlo Siani. Quella sera aveva finito il suo pezzo nella redazione del Mattino, settanta righe, e poi era tornato verso casa con la sua allegra Mehari di colore verde. E fu proprio sotto casa che gli spararono dieci colpi, con due pistole, fermando per sempre le sue cronache, ma trasformandolo in un potente simbolo di lotta alla criminalità organizzata, come racconta bene il film, che speriamo di rivedere stasera, Fortapsc, un’intensa pellicola del 2009 di Marco Risi.
In un dibattito a scuola, alla presenza del giornalista vittima della camorra, chiese un giorno una studentessa “Non hai paura a scrivere certe cose?” e Giancarlo Siani rispose: “Ogni tanto sì”. Subito dopo, un altro studente gli domandò: “E allora perché lo fai?”, seguì un attimo di riflessione e Siani rispose: “Perché è il mio lavoro, perché l’ho scelto. E non è che mi senta particolarmente coraggioso nel farlo bene. E’ che la criminalità, la corruzione, non si combattono soltanto con i carabinieri. Le persone per scegliere devono sapere, devono conoscere i fatti. Allora quello che un giornalista-giornalista dovrebbe fare è questo: informare”.
A testimoniare il suo coraggio e il suo esempio sono ancora le sue parole rivolte in un’altra occasione a giovanissimi studenti “Puoi cadere migliaia di volte nella vita, ma se sei realmente libero nei pensieri e nel cuore e se possiedi l’animo del saggio potrai cadere anche infinite volte nel percorso della tua vita, ma non lo farai mai in ginocchio, sempre in piedi”. (di Giuseppe Manzo)
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