Il racconto del giornalista reatino Valerio Vecchiarelli, firma del Corriere della Sera: la storia è quella di Felice Nucci, 62 anni, 2000 volte a Terminillo in bicicletta.
Ha dato appuntamento a Lisciano, là dove la strada si impenna, inizia la salita del Terminillo e per i ciclisti comincia l’incubo. Di solito Felice Nucci, 62 anni, la pedalata di salute l’ha fatta in solitaria, ma questa volta l’appuntamento era speciale ed ha chiamato a raccolta i vecchi amici che negli anni lo hanno visto tormentare i pedali nella bufera. Felice si è arrampicato sull’asfalto della Strada statale 4 bis per la volta numero 2000; dal 1999, anno in cui l’Ente provinciale del turismo lo assegnò allo sportello al pubblico del Terminillo, la sua bici ha percorso ottomila tornanti, 32mila chilometri di ascesa per un dislivello pari al giro del mondo sull’Equatore! E sì, perché allora Felice Nucci decise che da Rieti al lavoro lui poteva andarci in bicicletta, una vecchia Trubbiani verde, compagna di tante avventure. Quella bici non c’è più, il sale e il ghiaccio raccolti per strada le hanno divorato il telaio e l’avventura è continuata in sella a una Colnago rossa. La stessa che si è arrampicata nel giorno da ricordare: «Adesso ho una mountain bike più leggera e scorrevole racconta lo scalatore seriale ma nell’occasione alla vecchia Colnago non potevo fare un torto del genere!».
Un uomo gentile, che non ama la ribalta, ma ha un modo di intendere lo sport che è poesia: «Nessun record da battere, nessun avversario da superare. Quanto ci metto a salire? Non lo so, è la strada che decide per me, magari quando dovevo timbrare un cartellino mi sbrigavo un po’ di più, adesso che sono in pensione posso fermarmi a guardare un paesaggio». E ogni volta, dalla prima di vent’anni fa, quando toma a casa si cambia in garage, apre l’armadio e fa una tacca sull’anta. Come Robinson Crusoe sull’isola, un modo tutto personale per tenere il conto delle salite che passano. La salita per piacere, fino a 6 anni fa, alla vita che ti mette di fronte a una scalata ben più difficile, gli occhi che non distinguono più il suo amato panorama, le parole che si incastrano in gola. Tre mesi dentro a un ospedale per arrivare al verdetto: sindrome di Guillain-Barré, una malattia autoimmune che colpisce i centri nervosi, la stessa che ha inchiodato sulla sedia a rotelle Oscar Washington Tabarez, il commissario tecnico dell’Uruguay che ha commosso il pianeta durante il Mondiale di calcio in Russia.
«Ho dovuto imparare di nuovo a parlare – racconta – e a stento mi reggevo in piedi. Per i dottori dovevo solo dormire il più possibile, prendevo non so quanti tarmaci per rilassarmi ed ero sempre sveglio. Un giorno ho detto ai miei che andavo a fare una passeggiata, sono salito al Terminillo e senza accorgermene sono arrivato in vetta. Quella notte ho finalmente dormito. Il giorno dopo ho preso il sacchetto dei tarmaci e l’ho gettato nella differenziata, avevo trovato la cura». Di nascosto della famiglia una mattina di questo novembre ha ripreso la bici ed è salito al Terminillo per la tacca numero 1961. Le gambe funzionavano ancora e in poco più di un mese e mezzo ha collezionato altre 39 salite. «Perché volevo regalarmi entro l’anno la salita numero 2000, un tributo al Terminillo, la mia dolce medicina. Ma non è un’impresa, è solo un piacere che la vita mi ha voluto regalare».