Questa l’omelia che il vescovo di Rieti Domenico Pompili ha pronunciato durante i funerali di Stefano Colasanti e Andrea Maggi in Cattedrale.
“Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo”. Il profeta Isaia dà voce al grido della vita che è effimera come l’erba e struggente come un fiore che appassisce. Stefano e Andrea sono qui in silenzio a gridarci questa verità spesso censurata. Entrambi erano immersi nella loro quotidianità: Stefano andava a Monterotondo fuori servizio e Andrea era a casa. Quando all’improvviso sono stati richiamati dal fuoco di gas sulla Salaria. Sono stati attratti, risucchiati e, quindi, scomparsi. Il tutto nel breve volgere di qualche minuto. La vita è fragile ed imprevedibile, sottoposta a continui test di sopravvivenza, anche se ce n’è sempre uno che non si supera. E, tuttavia, proprio l’imprevedibilità fa la vita drammaticamente preziosa, al punto da non poterne sprecare alcun istante. Come Stefano che invece di tirar dritto si è fermato. Essendo, per altro, ben consapevole del rischio, anzi affrontandolo apertamente, pur di aiutare altri con la sua voce che gridava di scappare altrove. Anche Andrea si è mosso per andare da un suo amico, il cui luogo di lavoro era in fiamme. Anche lui poteva starsene tranquillo, a debita distanza, e invece si è ritrovato in mezzo al fuoco.
“Se uno ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?”. La domanda a bruciapelo posta dal Maestro ai suoi discepoli è evidentemente una provocazione. Perché mai mettere a repentaglio tutto per andare in cerca di ciò che si è perduto? Perché prendersi cura di quello che sembra ormai spacciato per sempre? Fortunatamente Dio non la pensa così e non lascia nulla di intentato, pur di venire incontro all’uomo perduto. Questo è quanto basta per credere con ragionevole speranza che nulla di ciò che è autenticamente umano andrà perduto per sempre. Così crediamo che Stefano ed Andrea non sono perduti, ma che proprio l’amore per gli altri di cui hanno dato prova, ha raggiunto e avvolto loro per primi.
“Si nasce incendiari e si muore pompieri” (sic!), si usa dire con un certo sarcasmo per dire del tradimento degli ideali giovanili. In realtà, alla luce di quel che è accaduto, questo proverbio ha un’altra possibile lettura: è facile appiccare il fuoco, difficile è domarne le fiamme. C’è bisogno di gente come Stefano ed Andrea per spegnere il fuoco di un mondo che è – un po’ come la via Salaria – a rischio permanente. Per questo ciò che è più richiesto sono donne e uomini che sanno correre il rischio e non fuggire davanti al pericolo. Ciò che mette in sicurezza la vita degli altri è soltanto il coraggio di chi non pensa a se stesso. È questa la fede che manda avanti il mondo nonostante rischi ogni giorno di incendiarsi.
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