Fabrizio Tomassoni regala ai lettori un ricordo di Pier Luigi Mariani, padre del teatro vernacolare reatino.
Il 16 maggio 1952 calava improvviso il sipario sulla breve vita di Pier Luigi Mariani, poeta, drammaturgo e, soprattutto, creatore del teatro vernacolare reatino.
Mariani aveva solo 44 anni, essendo nato nel luglio del 1908 (esattamente centodieci anni orsono) a Rieti, in quella via Roma che era allora il fulcro della vita commerciale cittadina. E lì si accomiatò da questo mondo, rimpianto da tutti colore che ne avevano apprezzato le rare doti di narratore della reatinità a tutto tondo, a ideale completamento dell’opera primigenia di Loreto Mattei e di quella più squisitamente linguistica di Bernardino Campanelli, riordinatore del vernacolo locale.
Eppure il Nostro non nacque scrittore dialettale: le sue opere in lingua, tra cui “Itaca non è più”, “Sogno di un plenilunio d’estate”, “Amore è un desìo”, le raccolte di poesie che gli valsero anche il Premio San Pellegrino 1948, stanno a significare un autore attento alla lezione dei classici, un cantore di un amore universale, con uno sguardo non distratto verso il mondo della natura e anche verso i più piccoli. Non a caso, l’ultima sua opera fu “Sogno di una notte di luna”, fiaba musicata dal maestro Mario Tiberti e rimasta incompiuta nel terzo atto, a causa di quella morte che lo ghermì ancora troppo giovane.
Ma Pier Luigi Mariani vuol dire soprattutto teatro dialettale reatino, con il vicolo assurto a palcoscenico delle storie narrate da personaggi, còlti per lo più nella vita di tutti i giorni, con la drammaturgia che si fa compagna di ognuno attraverso il linguaggio parlato in famiglia come in strada.
Ecco perché la sera del 14 settembre 1949 al “Flavio Vespasiano” la prima battuta del teatro in vernacolo del suo atto unico “L’amore ‘ncagnarellu”, «È renuta la cane?», fu salutata da dieci minuti di applausi ininterrotti: quasi una sorta di… urlo liberatorio dopo gli anni bui della guerra, delle aspre divisioni di parte. Mariani conosceva bene tutta questa umoralità e, complici gli indimenticati attori del GAD “Piccola Scena”, era riuscito a far ritrovare quella ‘spontanea leggiadria del sorriso’ a una intera città, riunendola attorno alla propria parlata.
Prova-prìncipe sarà il capolavoro marianeo “Lu Piccaru”, rappresentato sempre al “Flavio Vespasiano” il 7 giugno 1950, cui seguirono “Lu cuccumellu” il 23 dicembre 1950 e, infine, il canto finale di “Riète mea” il 28 dicembre 1951, stavolta rappresentato sulle tavole del nuovo Teatro “Moderno”.
Tutte opere che ricrearono un comune sentire, una identità ritrovata soprattutto nel disegno di personaggi che si muovevano sul palcoscenico di una Rieti in via di ricostruzione, con i mestieri tipici del carrettiere, del fabbro, del coltivatore: da Peppe dde Rubbacòre a ‘Ndoniu ddee Cacafai, resi vivi dal ‘gutturale’ Dario Nerici, mentre sarà Wanda Pitoni, “interprete prima e sola” delle sue quattro commedie, a consacrare la femminilità dell’epoca tra battute fulminanti e colorite espressioni pressoché smarrite in un progredire storico che, visto alla luce di questa storia, è apparso troppo spesso l’esatto contrario.
Personaggi tutti che scaturivano dal passaggio sotto le finestre della casa di via Roma o transitavano nella Farmacia dei Petrini, famiglia che dal 1789 aveva caratterizzato la vita cittadina. Non a caso, Mariani ne aveva sposato una delle ultime esponenti, la signora Ornella, dopo essere ritornato a Rieti, cessata l’esperienza di cancelliere a Milano.
Ma l’arte drammaturgica di Pier Luigi Mariani seppe accompagnare le commedie anche con la scrittura del testo di canzoni che ancor oggi i reatini cantano o fischiettano: “Le campane dde Santa Maria” (una sorta di inno cittadino), “La fontanella dde li guai”, “La Ruzzica”, “La canzone dde la copèta”, “Ninetta ‘n bicicretta”, “Rosolaccio” e la famosissima “Invito al Terminillo”, tutte musicate dal suo grande amico Giovanni Marconicchio con cui instaurò un connubio artistico inscalfibile. La sua morte improvvisa, però, non fu vana!
A sessantasei anni di distanza da quel triste 16 maggio 1952, il fiorire di altre compagnie teatrali, affiancatesi al GAD della prima ora e oggi chiamato ancora “P.L.Mariani”, con la capacità di saper allestire un cartellone annuale di commedie sempre in vernacolo reatino, dimostrano la grandezza di Mariani, l’attualità della sua intuizione nell’aver saputo trasferire sul palcoscenico le vicende quotidiane di Rieti.
Precipuamente con lo scopo di ricucire il tessuto cittadino, gli stessi rapporti e le stesse relazioni interpersonali…Non a caso, nel famoso processo del secondo atto de “Lu Piccaru”, alla domanda precisa del pretore a Sarafinu se conoscesse o meno colei a cui era stata fatta ‘fronzetta’ con quell’arnese, lui rispondeva «Sor Pretò, a Riéte ce conoscemo tutti!».
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