Alessandro Rossi e la Npc, quattro anni insieme tra prima squadra e giovanili. L’ufficio stampa Npc ha chiesto ad Alessandro di descrivere la sua esperienza in amarantoceleste e di parlarci dei piccoli dell’under 13 di cui è coach.
Ciao Alessandro, quest’anno ti è stata affidata una categoria particolarmente, delicata quella dell’under 13, come affronti questa nuova sfida?
Sicuramente con entusiasmo anche se non è la prima volta che alleno squadre giovanili. Sono arrivato a Rieti quattro anni fa e dopo il primo anno, durante il quale ho seguito solo la prima squadra, ho iniziato ad allenare le giovanili passando dall’under 15, 16, 18 ed ora sono tornato ai più piccoli. Quest’anno torno dopo tanti anni ad allenare l’under 13, categoria delicata considerando il fatto che per la prima volta affrontano un vero e proprio campionato FIP.
Sei passato da una città molto caotica come Napoli a Rieti, com’è stato il cambio di vita?
Ormai sono 4 anni che vivo a Rieti. Poter fare il mio lavoro qui è molto stimolante considerando che questa città ruota intono alla Pallacanestro, inoltre è un ambiente ideale per le famiglie essendo una città più a misura d’uomo. Quindi sono molto contento di essere qui e mi trovo molto bene. (Alessandro vive qui con Stefania ed il piccolo Leonardo).
Il lavoro con coach Nunzi è molto diverso da quello che devi mettere in pratica con i ragazzi dell’under 13. Quali sono le differenze principali?
La più grande differenza è che con i ragazzi la figura dell’allenatore viene dopo quella dell’istruttore; in primis c’è la persona che devono vedere come punto di riferimento per migliorare dal punto di vista umano e tecnico. Abbiamo il compito di farli innamorare di questo sport tramite principi importanti per la vita quotidiana. Inoltre i più piccoli hanno una sensibilità incredibile e devi saper affrontare situazioni particolari riuscendo a creare empatia con loro. Mi sorprendono sempre per la loro fragilità, in particolare quando si trovano in situazioni di difficoltà. In questi casi, sentendosi vulnerabili, è essenziale trovare empatia con loro facendogli superare il momento delicato con un sorriso. Un’altra grande differenza sta nel modo di interagire con loro. Il linguaggio da utilizzare con gli adolescenti deve essere più semplice e deve saperli coinvolgere.
Mantenere la concentrazione dei ragazzi è difficile?
Alla base c’è il piacere con il quale loro devono venire in palestra. Dobbiamo trovare l’equilibrio tra il gioco, il divertimento e l’impegno che uno sport di squadra richiede. Non c’è un metodo vincente per mantenere la concentrazione e credo che ogni caso sia diverso da un altro. I ragazzi di oggi, essendo impegnati su più fronti, sono molto motivati nel riuscire a svolgere tutte le attività da seguire. Dobbiamo, allora, avere la capacità di incanalare le loro energie sullo sport. La grande sfida è quella di trovare con ogni ragazzo la chiave differente per ottenere il risultato.
Dal minibasket al basket un passaggio importante e delicato vero?
È molto importante che già da questa età i ragazzi abbiano chiari quali sono i loro limiti. Il momento di rottura che si ha con i più piccoli è quando iniziano a trovarsi davanti a questi limiti e noi dobbiamo aiutarli a superarli. Il mio obiettivo personale è quello di creare un’evoluzione della squadra a tutto tondo, portando ogni ragazzo ad un miglioramento tattico e individuale senza lasciare nessuno indietro e concentrandomi sulla crescita dell’intero gruppo.
Foto: Npc ©