Le faggete vetuste dell’Appennino al centro dell’attenzione mondiale grazie al riconoscimento ottenuto come Patrimonio dell’Umanità nell’ambito di un sito seriale europeo che ha selezionato i migliori ecosistemi di faggio scampati nei secoli scorsi ai tagli. Un percorso, quello che ha portato al riconoscimento, che al centro dei lavori avviati ha visto l’importante lavoro dei docenti del corso di laurea di Scienze della Montagna della Sabina Universitas. L’Italia in questa rete, distribuita su 12 paesi europei, si distingue per ospitare ecosistemi a faggio dalle caratteristiche uniche per età raggiunta degli alberi (circa 600 anni), dimensioni (50 m di altezza), e caratteri di naturalità dei popolamenti. Da Sasso Fratino alla Foresta Umbra e Pollino passando per la Tuscia e la Marsica si trovano lungo la catena degli autentici scrigni di biodiversità la cui conservazione per le generazioni future da ora sarà ancora più garantita grazie al prestigioso riconoscimento Unesco.
Si tratta di una storia di successo costruito anno dopo anno con un grande lavoro di squadra e abnegazione in cui diverse amministrazioni dello Stato, dai Comuni ai Parchi Nazionali, dalle Università ai diversi Ministeri e al Corpo Forestale dello Stato, ora Carabinieri Forestali, hanno ancora una volta messo in luce quel sistema Paese capace di riconoscere, tutelare e valorizzare i nostri tesori, in questo caso naturali. La regia del processo di candidatura è stata condotta dal Ministero Ambiente austriaco e per l’Italia dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
Il Dipartimento Dafne dell’Università della Tuscia ha curato gli aspetti scientifici dalla selezione dei siti nei numerosi incontri internazionali, uno dei quali organizzato nel giugno del 2012 proprio in Italia tra le faggete della Tuscia e della Marsica e alla redazione del dossier di candidatura. In particolare Alfredo Di Filippo, Gianluca Piovesan e Bartolomeo Schirone, docenti di Scienze della Montagna, hanno da sempre creduto nell’importanza di preservare gli ultimi lembi di foresta antica rimasti in Europa – molto meno dell’1 per cento del nostro patrimonio forestale – e per questo hanno speso in questo processo tutta la loro esperienza pluriennale di ricercatori impegnati nello studio e tutela dei boschi e degli alberi vetusti. In questo senso si sottolinea l’impegno profuso da Di Filippo, presente negli incontri di Parigi e Cracovia, nel fornire il contributo tecnico-scientifico a supporto degli ambasciatori Unesco nelle complesse attività della diplomazia mondiale.
Va altresì evidenziato che con questo riconoscimento dell’Unesco, i forestali di Scienza della Montagna vengono definitivamente e pubblicamente consacrati come i migliori d’Italia, come peraltro attestato fin dal 2004 dal sistema nazionale di Valutazione della Qualità della Ricerca del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Foto (archivio) RietiLife ©