Mauro Corona, il celebre scrittore di montagne, scultore e arrampicatore, è rimasto ad Amatrice due giorni pieni per capire cos’è oggi Amatrice e come era prima. Le montagne della Laga esplodono di colori, con occhi ammirati lui è riuscito a concatenarle tutte.
Grazie all’evento culturale del CAI Regione Lazio e della sez. Amatrice, con il patrocinio del Comune, Corona ha tenuto un incontro culturale di grandissimo coinvolgimento per tutti presso il Palazzetto dello Sport di Amatrice il 17 giugno. Una moltitudine, 360 persone sedute per terra e sulle panchine per ascoltarlo nel campo di pallacanestro adibito a cinema si sono commosse e hanno riso per le sue battute fulminanti e provocatorie. Molti amatriciani sono venuti ad ascoltare la sua etica asciutta di montanaro, hanno preso nota a mente delle sue riflessioni su uno stile di vita più semplice e libero, fatto “di levare” e di “fare con le mani”; come pure gli appassionati di montagne dalle 4 Regioni del cratere sismico, ma anche dalla Campania e dalla Toscana, si sono ritrovati nelle sue parole quando spiegava lo spreco del tempo, l’inutile attaccamento ai beni superflui. In questo la montagna aiuta a scegliere, a togliere e a farne a meno.
Ha parlato molto di comunità, di ritornare a vivere e lavorare ad Amatrice perché le radici ritornano, e sarebbe una bestemmia tagliarle quando sono sane. La serata è stata un successo che ha preso in contropiede il Sindaco Sergio Pirozzi che ha abbracciato sorridente lo scrittore regalandogli nel ringraziarlo un paio di scarponi. Ormai guardare le scarpe di chi cammina ad Amatrice è un segnale se sei dentro o fuori la realtà: dentro di essa non ti puoi accomodare senza uscirne diverso, più umile e più forte nel farsi prossimo.
Corona ha camminato nella Zona Rossa e abbracciato alcuni anziani nelle frazioni visitate, sciogliendoli come neve al sole perché avvertivano la sua sincerità, di colui che ancora patisce ferite mai guarite: la tragedia del Vajont, il terremoto del Friuli, la miseria, l’abbandono. “Mi sembra di stare a casa qui ad Amatrice” ha detto, stringendo le mani di alcuni soccorritori del Soccorso alpino del CAI. “Non pensavo fosse così spaventoso, qui c’è ancora la vita che pulsa tra le macerie, i sassi e la polvere, ci sono presenze, avverto la comunità operosa di un tempo nelle case distrutte”, guardando ciò che resta dell’officina del fabbro dietro l’Hotel Roma. “Ad Amatrice tornerò e cercherò di darvi una mano, e lo farò parlando di voi quando qualcuno in televisione mi farà domande sulla politica o sull’attualità. Dirò: parliamo di Amatrice”. (di Ines Millesimi) Foto: Enrico FERRI ©