Pubblichiamo l’editoriale di Format di aprile a firma di Stefania Santoprete.
Una provocazione. Una soluzione? Non lo sappiamo, ma in un momento in cui si chiede al pensiero laterale di supplire ad una stagnazione retorica dei problemi divenuti insostenibili, anche il punto di vista di un sociologo può fare la differenza.
Domenico De Masi è sociologo del lavoro e dell’organizzazione e la sua ultima provocazione ‘Lavorare gratis, lavorare tutti’ ha lanciato un sasso nello stagno.
“Non si tratta di frasi provocatorie ma di uno sguardo realistico sul futuro che ci attende. La tesi del libro è che il progresso tecnologico ci procurerà sempre più beni e servizi senza impiegare lavoro umano. Sono richiesti criteri radicalmente nuovi per un nuovo modello di vita”.
Due milioni di lavoratori svolgono al giorno almeno due ore di straordinario non retribuito: ben 4 milioni di ore che darebbero lavoro a 500 mila persone.
Ma l’intenzione di chi ha un’occupazione non è certamente quella di ridurle ed allora De Masi propone una rivoluzione fatta dall’esercito dei disoccupati: lavorare gratis per dare una spallata consistente al mercato del lavoro. Una proposta che suona come assurda in una società dei consumi, ma che, come tutte le rivoluzioni, si pone un obiettivo da raggiungere attraverso ogni mezzo, in questo caso ‘creando una concorrenza sleale’.
I disoccupati dovrebbero offrire il proprio lavoro in modo del tutto gratuito attraverso una piattaforma nazionale, una app, dove si incontrerebbero domanda ed offerta: questo costringerebbe i lavoratori strutturati, i dipendenti e i professionisti, a cedere loro alcune ore del proprio impiego, pur di mettere fine a questo ‘scippo’. La proposta arriva dopo aver visto ingenti capitali investiti tradursi in una piccolissima percentuale di beneficio; ha il compito di sparigliare le carte in tavola per creare uno shock con effetti immediati che si tradurrebbero in un secondo momento (agguantate le ore in più disponibili) in regolari contratti da tornare a discutere.
In Italia si lavora più ore che nel resto d’Europa, 1750-1800 medie l’anno contro le 1500 tedesche ma loro hanno il 5% di disoccupazione, noi il 12!
Abituato a pianificare, lo studioso presenta altri tasselli di questo mosaico futuribile: il servizio civile obbligatorio, il reddito di cittadinanza, il lavoro gratuito, la laurea obbligatoria per tutti come lo è stato finora il diploma di terza media in un’università in cui andrebbero dirottati investimenti per borse di studio e stipendi dei professori. “Non si fanno più concorsi, abbiamo ancora docenti di 15 anni fa e assistenti di 50-60 anni. È un sistema folle, bloccato. Se investi sulla scuola la società diventa più colta: studiare serve anche per capire un giornale, per votare con coscienza, per educare i figli”.
Com’era facile immaginare il dibattito ha spaccato in due l’opinione pubblica: la fascia di popolazione che vive in un limbo è quella presa in considerazione da chiunque tenti di apportare correttivi di sostegno nel mondo del lavoro.
E’ un’intera generazione più istruita e paradossalmente meno occupata delle precedenti, insieme ai ‘NEET’ (ne parliamo anche nel nostro articolo ‘Lavoro: istruzioni per l’uso a pag. XX) persone non solo prive di un posto ma anche scoraggiate a tal punto da non seguire più alcun corso di corso di formazione o training. Un’inattività che si trasforma in rischio di povertà ed esclusione sociale.
“Tre milioni e centomila persone in Italia vivono così, sprecando le proprie potenzialità e competenze: e non stiamo neanche contando chi ha rinunciato a cercare un posto. Sono atomi sperduti, non hanno un sindacato, una lobby, un giornale o un sito che li difenda: a differenza dei 23 milioni di lavoratori, che si tengono stretto il proprio lavoro. Tutte le ore, anche quelle di straordinario”. Foto: FORMAT ©