La salute delle donne al centro del Convegno sulla Medicina di Genere promosso il primo marzo dalla Direzione della Asl Rieti. Una riflessione fra professionisti esperti di alto profilo che hanno dato il loro contributo al dibattito sulla necessità di inserire una prospettiva di genere nella coscienza culturale e scientifica corrente e di considerare l’opportunità di un approccio alla salute che finalmente si interroghi sulle implicazioni che il sesso ed il genere, esercitano sulla fisiologia, fisiopatologia e clinica delle malattie.
La Medicina da sempre ha relegato l’interesse per la salute femminile ai soli aspetti correlati alla sfera riproduttiva; gli studi clinici, e soprattutto la ricerca sui farmaci e sui vaccini hanno coinvolto, per semplicità, casistiche prevalentemente maschili mentre scarsa attenzione è stata riservata ai rischi che questo poteva comportare per la salute delle donne considerate, per analogia, come “piccoli uomini”.
Lo sviluppo di approcci diagnostici e terapeutici che valutino le differenze di genere tra donne e uomini potrebbe consentire di migliorare le prospettive della salute femminile. È per questo che inserire una dimensione di genere nelle scelte strategiche, nella programmazione e nell’organizzazione dei servizi sanitari è diventato oggi un imperativo che tutte le organizzazioni, dall’OMS all’Istituto Superiore della Sanità, stanno ponendo: il tema delle disuguaglianze come stimolo, la medicina di genere come area di intervento.
La giornata di ieri ha fornito una chiave di lettura per rileggere le scelte di politica sanitaria, le azioni di governance, la gestione delle cure al fine di cercare soluzioni adeguate al concetto di centralità del paziente e di personalizzazione delle terapie evitando scelte metodologicamente imprecise.
Per usare le parole del Vescovo di Rieti Domenico Pompili, intervenuto ieri alla Conferenza, “la medicina di genere ponendo la questione di riconoscere e valorizzare l’elemento femminile è anche un contributo alla medicina stessa che qualche volta rischia di essere nel linguaggio e nelle pratiche troppo centrata su un falso universalismo asettico”. Foto: ASL RIETI ©