Il Corriere della Sera ha dato spazio ieri alla lettera inviata da un gruppo di giovani reatini e scritta da Daniele Sinibaldi, titolare di attività commerciali in città, segretario cittadino di Fratelli d’Italia e, tra le altre cose, motore della prima raccolta di beni in piazza Mazzini (“Aiutiamo Amatrice”) nella mattinata drammatica del 24 agosto. La lettera è un appassionato appello ai suoi coetanei a non abbandonare il nostro territorio ferito dal sisma.
È Sinibaldi, nel chiederci di pubblicarla, a raccontare come è nato questo appello. “A seguito di una riflessione con alcuni amici ho inviato nei giorni scorsi una lettera di appello ad un po’ di amici ed amiche di Rieti residenti all’estero o in altre città italiane. Una di loro ha girato la lettera al direttore del Corriere della Sera che ieri ha dato spazio alla nostra richiesta di attenzione per questa città. L’appello – prosegue Sinibaldi – si rivolge a tutta la generazione che ha lasciato la città ma anche e soprattutto a chi potrebbe essere in procinto di farlo. Per questo chiedo la vostra collaborazione a riportare sulla stampa cittadina un dibattito che in molti della mia generazione ritengono. L’unico vero dibattito di cui abbisogna questa città, quello sul futuro”.
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LA LETTERA INTEGRALE DI DANIELE SINIBALDI
Sono passati più di cinque mesi dal quel 24 agosto che ha sconvolto il Paese intero, aprendo una ferita nel Centro dell’Italia. Ferita che non si rimargina, che diventa ogni giorno più profonda, perché al dolore segue lo sconforto per una vita che non ha più nulla di normale, per nessuno. A cerchi concentrici, come un sasso gettato nell’ acqua, si è propagata la frustrazione, la rassegnazione, la convinzione che un futuro per questa terra non esiste, che tutto è perduto. Si fa strada l’idea che il terremoto sia stato il colpo di grazia per un territorio e un capoluogo già morenti.
A Rieti, nel più totale silenzio, stanno chiudendo aziende, attività commerciali, le piazze e le strade si svuotano. La depressione aumenta, allontanando sogni e desideri che, attraverso le proprie scelte, ognuno di noi sperava di poter tramutare in realtà.
Io appartengo alla generazione dei trentenni, quella che ha potuto viaggiare in un mondo sempre più piccolo, quella che si sente più europea che Italiana, quella costantemente connessa, che ha avuto tutto a portata di mano ma che, allo stesso tempo, ha visto il nostro Paese piombare in una crisi che sembra non avere fine e che oggi nelle nostre zone si è addirittura tramutata in catastrofe. Le continue scosse che da mesi sentiamo sotto i piedi stanno, però, iniziando ad assomigliare ad un monito, un invito a riflettere, uno stimolo a scegliere! Il bivio che ci troviamo di fronte, come generazione, è al tempo stesso semplice e drammatico: andar via e cercare fortuna altrove oppure decidere di rimanere e riemergere dal baratro attraverso la speranza e il sudore.
Sebbene ad alcuni la seconda opzione possa apparire romantica e scarsamente realista, noi crediamo che, invece, sia la scelta da compiere. Quando si è in difficoltà, è questa la scelta che devono compiere gli Uomini. D’altronde, resistere e restare, è la stessa scelta che ha trasformato un piccolo amministratore di una cittadina di montagna in un gigante che incarna quella voglia, innata eppure apparentemente sopita, di non mollare nulla, neanche per un attimo, di farcela ed onorare la grandezza della nostra storia.
La voglia di quell’amministratore di montagna che rimane a lottare, per noi, è un messaggio che deve essere recepito dall’intera provincia, dal nostro capoluogo, dai giovani come noi che per un attimo hanno accarezzato l’idea di abbandonare, di andare via. Giovani che, invece, devono dimostrare di essere Uomini, scommettendo sul nostro territorio, sul futuro di tutti noi.
La tragedia di Amatrice, le scosse di ottobre, la tragedia di Rigopiano, uno dietro l’altro questi drammi inimmaginabili ci hanno fatto riscoprire le qualità del popolo italiano. In fondo, un popolo capace, laborioso, solidale, fiero. Un popolo certamente non brillante nella rappresentazione di sé. Ma noi, oggi ancora di più, sappiamo che l’Italia è fatta di tante piccole Amatrice, Norcia, Leonessa, Visso. Tante culle della nostra storia che non vogliono rinunciare al futuro, che conoscono bene cosa sono state, cosa sono ma soprattutto che hanno ben chiaro cosa vogliono continuare ad essere! Questa Italia, l’Italia vera, vuole continuare ad esistere. Ed è questa l’Italia alla quale noi sentiamo di appartenere.
E’ necessario acquisire la consapevolezza che senza di noi, senza il lavoro, l’ impegno e il sogno dei figli di questa terra martoriata, avranno vinto la rassegnazione, lo sconforto e la paura. Se molliamo noi, avranno perso gli uomini come Sergio Pirozzi, che ogni giorno provano a tenere alta non solo l’attenzione, ma la tensione, quel legame ideale che, come una sorta di cordone ombelicale, ci ricorda da dove veniamo e ci collega con il futuro, ricordandoci però anche le nostre responsabilità.
Mi rivolgo a tutti i ragazzi e le ragazze costretti a studiare o lavorare fuori, a coloro che sono in procinto di farlo, a tutti quelli che il futuro lo stanno immaginando altrove. Vi diranno che questa Città e questa provincia non hanno più niente da offrire, vi diranno che altrove avrete una possibilità…non ascoltateli! Non adesso! Quello che cercate è intorno a voi, tra gli sguardi cupi e dignitosi di chi ha perso tutto, nei silenzi di chi continua ad alzarsi tutti i giorni lasciandosi il peggio alle spalle, nella voglia di chi ricomincia, nell’imponenza delle montagne che ci circondano, nel ricordo di ciò che è stato costruito da altri prima di noi.
In quest’epoca che il destino ha voluto riservarci, siamo tutti chiamati, a partire dai giovani, a fare la scelta giusta: dedichiamoci a ricostruire questa città e questa provincia. Con rabbia e con amore.
Foto: Facebook Io Ci Sono – Aiutiamo Amatrice ©