(di Sabrina Vecchi) “Se sono un agitatore della cultura? Sì, lo sono perché la voglio al servizio della felicità umana”. Con queste parole Luis Sepúlveda ha conquistato ieri sera il pubblico del Teatro Flavio Vespasiano letteralmente affascinato dal carisma e dalla pacatezza del grande scrittore cileno. E sia di cultura che di ricerca della felicità la storia della vita di Sepúlveda è punteggiata.
Nato in Cile nel 1949, crebbe assieme ad uno zio e al nonno paterno, un anarchico andaluso fuggito in Sud America. Con i genitori in fuga perché suo padre era stato denunciato dal nonno paterno per motivi politici, il piccolo Luis iniziò a rifugiarsi nella lettura, per poi iniziare a scrivere lui stesso già all’età di quindici anni. Nel 1969 con il suo primo libro di racconti “Cronacas de Pedro Nadie”, vinse il Premio Casa de las Americas e una borsa di studio di 5 anni per studiare all’Università di Mosca. Dopo una serie di eventi che lo portarono di nuovo in Cile, poi in Bolivia dove fu membro dell’Eiército de Liberaciòn Nacional. In seguito fu guardia personale del Presidente Salvador Allende e con il colpo di Stato di Augusto Pinochet venne arrestato e torturato e liberato dopo sette mesi grazie alle pressioni di Amnesty International. Una volta libero, riprese ad esprimere le sue idee politiche attraverso il teatro. Incarcerato nuovamente, fu condannato all’ergastolo, ma poi, sempre grazie ad Amnesty International, la pena fu commutata in esili che trascorse in varie parti del mondo.
Sepúlveda ha trascorso la sua vita a combattere per la tolleranza delle diversità finalizzata al nutrimento delle reciproche differenze, come esemplifica nei suoi romanzi che spesso vedono protagonisti personaggi appartenenti a generi stereotipati come rivali che scoprono invece i valori dell’amicizia, della fratellanza e della solidarietà. Proprio come i famosi gabbianella e gatto del suo romanzo più celebre.
“Tutti devono dare il proprio contributo perché questo mondo sia migliore – ha detto lo scrittore – l’impegno più grande della vita di ciascuno deve essere quello renderlo più umano. Per una società uguale, solidale, tollerante, fatta di amore e comprensione verso le diversità e protesa verso l’aiuto reciproco”.
Sull’onda di questo messaggio l’autrice di questo articolo e RietiLife hanno voluto contribuire dedicando un volume dell’autore alla biblioteca di Amatrice, per una rinascita solidale che parta dalla cultura. Entusiasta dell’idea Luis Sepúlveda, così come Sergio Serafini, bibliotecario di Amatrice sopravvissuto al terremoto del 24 agosto, che spera di salvare dalle macerie alcuni dei suoi preziosi volumi, parti integranti della vita e della comunità dei suoi luoghi.
Come detto da Luis Sepúlveda, la cultura sia al servizio della felicità umana. O almeno, aiuti ad alleviare le sofferenze.
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