Un reatino a Santiago: “Vi racconto il mio cammino” / LE FOTO

L’emozionante e appassionato racconto del nostro collaboratore Matteo Carrozzoni che in questi giorni sta percorrendo il Cammino di Santiago.

(di Matteo Carrozzoni) L’anno scorso, incuriosito dell’incremento esponenziale di pellegrini sul Cammino di Santiago riportato dalle cronache, ho voluto provare ad “assaggiare” quest’esperienza, percorrendo gli ultimi 115 km del cammino Francese, sufficienti a prendere la Compostela. A distanza di un anno, rapito dalle sensazioni che quella breve esperienza mi ha donato, ho deciso di raddoppiare la distanza, percorrendo in 8 giorni 230 km del cammino del Nord, un cammino più duro e solitario del frequentatissimo francese, continuando a provare a coglierne l’essenza, quella che sicuramente viene sviscerata da chi compie i circa 800 km di uno dei cammini completi, ma che comunque, camminando per molte ore, per diversi giorni, ha permesso anche a me di entrare in sintonia con il Cammino di Santiago. Cercherò di raccontarlo con gli appunti di quei giorni. LEGGI IL RACCONTO DELLO SCORSO ANNO

31 maggio 2016. Giorno 0 – Sveglio dalle 5:30, dopo 3 ore di aereo, 6 di scalo e 4 ore e mezza di autobus, sono arrivato finalmente a Navia, paesino di pescatori in Asturia. Dopo aver conosciuto Tommaso e Sara, padre e figlia in rotta per il cammino inglese e aver trascorso piacevolmente il viaggio in autobus con Cristina, graziosa e simpatica receptionist ventitreenne del porto turistico di Gijon, salita a La Coruña, che mi ha fatto volare il trasferimento (dicendomi che parlo spagnolo come un argentino, guarda un po’…), ora sono completamente solo. Ho mangiato una bistecca strepitosa e bevuto due birre con gli autoctoni, piuttosto incuriositi, in quanto la zona non è propriamente turistica, me ne vado a letto. Domani si comincia. Io, lo zaino e la strada.

Giorno 1 – 230 km a Santiago. Alle 7:30 Navia è ancora deserta. Incontro solo una signora e le chiedo informazioni per trovare il Cammino. Mi dice che dovrebbe essere di là o forse di là. A sensazione scelgo di andare di là. Uscendo dalle ultime case del paese me la trovo davanti. La concha con la flecha amarilla. Devo ammettere che mi ha fatto effetto rivederla dopo un anno. Sono sul cammino, non lo lascerò più fino a Santiago. In realtà lo perdo dopo un paio di km, le frecce gialle sono meno frequenti che nel francese e bisogna stare più attenti. Me ne accorgo perché una coppia di anziani in vestaglia mi bussa dalla finestra di una bella villetta indicandomi il sentiero sulla destra che porta in campagna, con annessa freccia, che mi era sfuggita. Per un paio di ore non incontro anima viva. Poi raggiungo La Caridad, dove incontro Elena, pellegrina bergamasca al suo terzo cammino completo : il francese da San Jean, il portoghese da Lisbona e il Nord da Irun. Mi racconta di quanto sia bello il cammino portoghese, sarà il mio prossimo. Ci separiamo presto, lei taglia seguendo la superstrada, io preferisco seguire il cammino. Attraverso boschi di eucalipti con un profumo che ti scuote e seguo il torrente fino al mare. Lo spettacolo lascia a bocca aperta. Negli ultimi km fino a Tapia de Casariego parlo con un vecchietto sulla panchina che mi racconta di quando lavorava nell’estrazione mineraria del ferro nella baia, poi tre “ragazzotte” over 50 canadesi dirette a Ribadeo. Arrivo a Tapia piuttosto stanco, dopo aver percorso 20 km. Trovo subito l’albergue de Peregrinos, è molto grazioso con tutti i conforts e una vista strabiliante ma la cosa incredibile è che sia un donativo, cioè a offerta. Doccia, bucato e poi sul letto a riposare e a scrivere due righe. La giornata si conclude con una cena comunitaria insieme a due tedeschi ed un madrileno. Sono qui e non mi sembra vero. È la più alta sensazione di libertà che abbia mai provato, davvero difficile da spiegare.

Giorno 2 – Lascio l’albergue de peregrinos di Tapia de Casariego alle 7:30, saluto i tedeschi Thomas e Leonie e Angelo il madrileno e mi incammino senza ancora aver deciso la meta, riflettendo sulla frase lapidaria pronunciata da Leonie la sera prima, mentre guardavamo risalire la marea: “The Camino it’s a challenge that makes you know how really free you are and how much well you can stay alone with yourself”. In un paio di ore, dopo 12 km arrivo a Ribadeo, graziosa cittadina al confine tra Asturia e Galizia, piena di vita e negozi ma troppo vicina per fermarsi. Sul lunghissimo e vertiginoso ponte che attraversa l’estuario del fiume incontro Ignacjo, maratoneta 53 enne di Valentia, conosciuto ieri in albergue. Lui era quello che faceva stretching sul tappetino con musica ambient mentre io e i crucchi scolavamo birra. È vestito talmente tecnico che sembra saltato giù dal cartellone di Cisalfa. Mi dice che vuole arrivare a Lourenzá, 40 km da dove siamo partiti. Lo guardo stralunato e penso che io arriverò a malapena a Villela, 7 km dopo Ribadeo. Lui si ferma a mangiare e io proseguo. Le zaffate di iodio respirate sulle falesie e quelle di letame in campagna lasciano il posto a zaffate balsamiche di pino ed eucalipto dei boschi. Iniza un micidiale saliscendi di alte colline. Arrivo a Villela passato mezzogiorno e mi fermo ad un bar a mangiare qualcosa. Lì conosco due simpatiche anzianotte italoaustraliane, un distinto signore del Quebec e un trentenne francese. Sono partiti da Ribadeo e sono diretti a San Xusto, distante 17 km, 5 prima di Lourenzá. Ne ho già percorsi 19, sono piuttosto provato e penso di fermarmi lì. Dopo un po’ passa Ignacjo, veloce come il vento,  che mi sconsiglia di proseguire per via delle dure salite e discese che seguono. A quel punto si incamminano anche gli altri. Sono scalzo sul prato che mi massaggio i piedi con l’arnica e mi domando se, per 12 km in più già percorsi, io davvero non possa fare quello che possono fare due dame dai capelli grigi. Rimetto lo zaino in spalla e mi incammino. So che per altri 17 km non incontrerò albergues o ostelli e la cosa mi inquieta un po’. Raggiungo le wallabies, ci chiacchiero un po’ ma poi vado oltre, raggiungo anche i francofoni. Mi metto al loro passo, si chiacchiera, i km passano nonostante la fatica. Attraverso paesini che sembrano usciti dalla Contea degli hobbit ma le continue salite e discese mi mettono a dura prova. Arriviamo all’albergue di San Xoust, anche questo donativo, un po’ prima delle 17. Dopo la doccia e il bucato siamo al bar a bere birra, che qui è buonissima e costa due euro alla pinta, contento e soddisfatto di aver percorso ben 35 km camminando per circa 7 ore e guadagnando molto sulla tabella di marcia, che mi lascia davvero poco margine.
Ma la cosa più importante è aver ricevuto l’ennesima conferma che la maggior parte dei nostri limiti ci viene imposta quasi sempre da noi stessi.

Giorno 3 – Rifare lo zaino la mattina è un vero e proprio lavoro, riarrotolare tutto e farlo combaciare come nel tetris comporta una buona dose di pazienza. San Xoust conta 4 case, l’albergue municipal, quindi un letto e un bagno ed un bar – tavola calda, ma ieri sera mi è sembrato il club mediterranee. Il cielo è coperto, il bucato è ancora umido, lo appendo allo zaino con le mollette. Si parte con comodo alle 8 insieme a Pierre di Quebec city e Martin di Lione. Il bar è ancora chiuso, io faccio colazione con degli integratori e una barretta di sesamo e miele, Martin con una sigaretta. Per il caffè bisognerà arrivare a Lourenzá, a soli 5 km, un’ora di cammino. Proseguendo ci ferma una vecchietta col falcetto, ci chiede di dove siamo e ci racconta del figlio che ha studiato con un milanese molto ricco che vendeva vestiti e che la facciata della chiesa di Lourenzá è dello stesso architetto della cattedrale di Santiago, ma realizzata molti anni prima. Parla veloce, con accento Gallego, capisco ogni parola e tengo la conversazione. Questa cosa mi dà una soddisfazione enorme. Traduco tutto agli anglofoni a secco di spagnolo. Dopo di che solo boschi, mucche e salite, boschi, mucche e salite sempre più lunghe. Arriviamo a Mondoñedo, cittadella graziosissima dove c’è una cattedrale magnifica e la guida del museo, una signora di Padova, ci pone il timbro sulla credenziale con una ceralacca vecchia di 200 anni. Ci fermiamo a mangiare un panino e vediamo passare diverse belle ragazze ben vestite. Mi accorgo di guardarle in modo strano. Mi ero quasi dimenticato di una certa sfera sensoriale. Dopo pranzo esce il sole e abbiamo ancora tanta strada davanti ma soprattutto parecchie dorsali da scavalcare. A fine tappa, alle 17:30, Pierre mi dirà che è stata una delle più dure da San Sebastian, dove lui ha iniziato. Martin si isola con le cuffiette, ascoltandolo musica celtica bretone e camminando e ballando come l’orso Baloo. A Mariz ci fermiamo a bere un caffè da Carmen, fricchettona che vive vendendo i suoi dipinti e delle donazioni dei pellegrini, palesemente nostalgica di quella Woodstock age che non ha mai vissuto. La aiuto a togliere una lucertola smeraldina, che lei dice in estinzione, dalle grinfie del gatto e ripartiamo. Pierre e Martin sono un’ottima compagnia, simpatici, curiosi ma discreti, grandi camminatori, ottimi commensali; un altro bel dono del Cammino. Oggi sembra non finire mai. Arrivo ad Abadin che ho dato tutto. 30 km di tappa montuosa, 85 km in 3 giorni ma ciò che conta è che ansie, malumori, malesseri, rancori e bruxismi vari sono molto più lontani. Il cammino ti svuota e ti riempie allo stesso tempo, facendoti sentire limpido e cristallino, come i torrenti della Galizia che stiamo attraversando, regione dalle infinite tonalità di verde, dai luccicanti tetti di ardesia, regione dove finiscono tutti i cammini che portano a Santiago, regione dove camminando fino a perdere il senso del tempo ho scoperto stati di gioia intensa e profonda.

Giorno 4 – Oggi tappa relativamente breve, poco più di 20 km per fortuna, non tanto per le vesciche manifestatesi ieri e prontamente risolte con ago, filo e betadine, quanto per la stanchezza accumulata. Ho bisogno di riposare. La tappa procede tranquilla, insieme a Pierre e Martin, quasi tutta in pianura, nelle campagne, buona parte fatta insieme alle ventenni Mary di Berlino e Michelle dalla Svizzera, quest’ultima venuta da sola a piedi da Montpellier, attraverso i Pirenei, per circa un migliaio di km, altro che vetta del Terminillo… Durante il cammino troviamo un banchetto di formaggi strepitosi e facciamo la seconda colazione. Riincontro le australiane, Elena la bergamasca e altri pellegrini. Da Abadin sembrano essere aumentati, ma sono sempre pochissimi, rispetto a quelli che incontreremo nelle ultime due tappe, quando ci inseriremo nel cammino francese, che ormai soffre di vero e proprio sovraffollamento. Ma non è sempre tutto bello. Nelle aree rurali assisto con troppa frequenza a un modo di trattare i cani che fa rabbia: gabbie opprimenti, catene corte e pesanti, magrezze estreme, occhi tristi. L’albergue di Vilalba è modernissimo e confortevole. Ieri sera abbiamo mangiato una bistecca da 850 grammi e bevuto un ottimo vino, a prezzi imbarazzanti. Stasera non credo sarà da meno. Ogni tanto realizzo che non ho un pensiero rivolto alla mia quotidianità e la cosa mi entusiasma. Mi alterno tra discorsi in inglese e spagnolo con gente cordiale e curiosa. Nessuno ti dà per scontato o pensa di sapere chi tu sia per l’immagine che trasmetti. Mi mancherà tutto ciò.

Giorno 5 – Si parte alle 8 con nebbia e freddo pungente. Anche oggi tappa piuttosto pianeggiante ma ieri ho avuto parecchio fastidio alle caviglie e a fine giornata ho dovuto armeggiare con varie pozioni magiche. Cremine e polverine, insieme ad 8 ore di sonno mi rimettono al mondo e oggi mi sento in forma. Percorriamo 20 km senza fretta, tra campagne, boschi, torrenti e qualche villaggio fantasma e a ora di pranzo siamo a Baamonde, che dovrebbe essere la meta di oggi ma poiché la tappa di domani segna 40 km, dei quali una ventina in montagna, decidiamo di avvantaggiarci e di percorre altri 15 km, fino a Miraz. Arrivati a Baamonde però Martin prende una brutta storta e cade a terra sbucciandosi pure un ginocchio. La caviglia si gonfia un po’ e ci fa temere per la sua prosecuzione. Sarebbe una beffa per lui che ha percorso 700 km da Irun. Ci fermiamo a mangiare un panino con le acciughe ed improntiamo un pronto soccorso da campo. La situazione risulta meno grave di quanto potesse sembrare e Martin riuscirà a riprendere il Cammino. Fuori Baamonde seguiamo per un po’ la statale, poi il Cammino rientra nei boschi, proprio dove è posizionata la colonnina che segna 100 km a Santiago. Fino ad ora ne ho percorsi 130, più di quanti avessi calcolato con l’opzione “a piedi” di Google maps, perché il Cammino si snoda spesso su sentieri non segnati dalle mappe, a volte lunghi e tortuosi ma naturalisticamente e paesaggisticamente più belli. Dopo 35 km da Vilalba e circa 7 ore di cammino effettivo, arriviamo alle 17 all’albergue di Miraz, gestito da tre signore anglosassoni, dove troviamo Elena, partita stamattina all’alba e una coppia di Hawaiani veramente strani. Doccia, bucato e litri di Estrella Galicia, la cerveza locale, insieme a Pierre e Martin. Temevo di arrivare a Santiago un giorno più tardi della tabella di marcia, di questo passo arriverò un giorno prima.

Giorno 6 – Non sarebbe Galizia senza la lluvia. Partiamo sotto la pioggia con le signore inglesi innamorate di Pierre che se lo sbaciucchiano mentre ci recitano una formula di commiato freak che nemmeno sto molto a sentire. Dopo un’oretta di pioggia ci troviamo ad attraversare una landa desolata caratterizzata da, permettetemi la digressione geologica, estesi affioramenti di batoliti granitiche generate dall’orogenesi ercinica. Insomma, sassi degni di nota. La pioggia finisce ma iniziano le salite; facciamo una quindicina di km di montagna, fermandoci a mangiare nello spaccio di una fattoria e incontrando la coppia di coniugi hawaiani e i giovanissimi spagnoli in mountain bike, universitari del primo anno, conosciuti la sera prima nella locanda. I panorami sono sempre magnifici. Durante le lunghe ore di strada i francofoni o francoparlanti, come dicono da queste parti, canticchiano un’antica canzone francese del cammino:
“Tous les matins nous prenons le chemin, Tous les matins nous allons plus loin. Jour après jour, la route nous appelle, C’est la voix de Compostelle”.
Ma la mia canzone del cammino, sin dall’anno scorso, è la vecchia e poco conosciuta “Sulla strada” e me la canto tra me e me.
Arriviamo a Sobrado dos Monxes nel primo pomeriggio dopo 25 faticosi km. É un paesino su un lago pieno di casotti del birdwatching, costruita intorno ad un enorme monastero del 900 di frati cistercensi, che ospitano i pellegrini da secoli. Sembra di essere ne “Il nome della Rosa” ed io, naturalmente, mi sento come il monaco eretico un po’ demente del film, che parla mescolando insieme lingue diverse. I frati sono simpatici, le tre giovani e belle pellegrine tedesche nel nostro dormitorio lo sono di più.
Siamo a una sessantina di km da Santiago, ne ho percorsi 170 in 6 giorni…

Giorno 7 – Lasciamo il monastero alle 8 ed arriviamo ad Arzua a ora di pranzo dopo 20 km. C’è il sole e fa molto caldo. Mangiamo un piatto di polpo alla gallega, con la paprika e ripartiamo. Il cammino del Nord finisce qui, siamo ufficialmente nel cammino Francese. Anche la tappa finirebbe qui ma proseguiamo. Pierre e Martin si fermano a riposare un po’ ma io soffro nel ripartire dopo le soste e continuo a camminare. Dopo un po’ incontro le tre ragazze tedesche di ieri sera e camminiamo insieme per un’oretta. 6 km dopo Arzua troviamo un albergue di una coppia di mezza età, sulla collina, in mezzo al verde, con sdraio, amache, tavolini di legno e ombrelloni. Un paradiso. Mi sale una botta di nostalgia del casaletto dove io vivo e decido di fermarmi. Si fermano anche le ragazze. Dopo un po’ arrivano anche Pierre e Martin ma preferiscono proseguire, fare altri 5 km ed arrivare a Salceda. Dissento fermamente e do loro appuntamento all’indomani. Calcolando che mi sveglio sempre un po’ prima, credo che l’indomani sarò a Salceda mentre faranno colazione. Il simpatico alberguero Simon ci informa sul menù della cena e ci porta birre fresche che beviamo sulle amache. Dopo una settimana di fatica e 200 km percorsi, un piacevole, inaspettato e direi meritato diversivo. Come avrebbe detto il buon Pizzul: “È tutto molto bello…”

Giorno 8 – Ieri sera, dopo tanto peregrinare, é giunto il momento dell’amore. Non il mio naturalmente. Durante la cena, preparata amorevolmente dall’alberguera Heidi, l’alberguero Simon, londinese, ci ha raccontato della loro conoscenza in un cammino di molti anni prima. Poche parole, sporadici incontri nelle lunghe tappe. Poi persi di vista. Dopo l’arrivo a Santiago lui andò a Finisterre e tornò indietro, sempre camminando insieme al suo piccolo cane. A un certo punto il cane si fermò davanti ad un’abitazione e lui, ormai stremato, decise di chiedere la possibilità di accamparsi con la tenda. Suonò alla porta e ad aprire fu Heidi. Viveva in quella casa e lo ospitò. Lui da quella casa non andò più via. Era la casa che ha ospitato anche noi ieri sera.
Alle 7:30 del mattino io, Sandra, Lena e Teresa ci mettiamo in marcia  e in un’oretta, dopo circa 5 km, raggiungiamo Piero e Martin a Salceda. Gli ultimi 30 km del cammino Francese ci presentano uno spettacolo decisamente diverso: gruppi di turisti con minuscoli zaini col panino, seguiti a brevi tappe dai bus e dagli operatori turistici che, quando stanchi, li trasportano nei migliori alberghi. Signore con le buste piene di souvenir, cappellini di ogni foggia, giovani coppie con prole in carrozzino da trekking e altre amenità. Il Cammino è giunto alla parte commerciale. In tutto ciò, dopo aver salvato Pierre da un ciclista irresponsabile qualche giorno fa e dopo aver trovato e riconsegnato ad uno sprovveduto americano l’iphone smarrito, mi guadagno, ironicamente il titolo di “Eroe del Cammino”! Arrivati a Monte de Gozo, dopo 29 km, ci separiamo. Le ragazze e Martin vogliono arrivare a Santiago. Io e Pierre ci fermiamo nel grande complesso dedicato a Giovanni Paolo II, a soli 5 km dalla meta, dove arriveremo domattina. Ci sono dei reatini a Santiago. Ci mettiamo in contatto. Domani pensiamo di andare a Finisterre.

Giorno 9 – L’arrivo. Io e Pierre percorriamo gli ultimi km in una fiumana di pellegrini provenienti da ogni dove. Chi per fede o devozione, chi per lasciare qualcosa alle spalle e chi per ritrovarla, chi per mettersi alla prova o in discussione o per fuggire dalla quotidianità, chi per condurre un’esperienza con gli amici e chi per per stare solo con sé stesso. Non importa quale motivo ti spinga ad intraprendere il Cammino, cio che importa è lo spirito con cui lo vivi. Quello che ho compreso dalla mia esperienza, vivendo il mio percorso e confrontandomi con gli altri, è che il cammino non ti cambia necessariamente ma te ne dà la possibilità. Viaggiare con lo stretto necessario, lasciando a casa tutto il superfluo al quale siamo dannatamente abituati, adattarsi a vivere in condizioni minimali, abbandonarsi al caso senza programmare ogni passo, affidandosi a forze più grandi, fuori e dentro noi stessi, nelle quali non abbiamo mai sperato o che nemmeno immaginavamo di avere, arrivando a superarsi e a superare la vecchia concezione di sé, magari fino ad andare oltre le proprie possibilità fisiche, mettendosi in gioco e lasciando che, come ho sentito dire, “l’inatteso ci riempia di meraviglia”; il tutto, come scrive Coelho, con una certa dose di follia; non la follia che distrugge, bensì quella che conduce l’essere umano a compiere il passo al di là dei propri limiti.
In questo modo il Cammino riuscirà a toccare angoli inesplorati del nostro essere, donando sensazioni entusiasmanti e nuove consapevolezze. Per quanto mi riguarda il Cammino riesce a donarmi un senso di libertà che non avevo mai vissuto prima ed al ritorno mi lascia in uno stato di pace profonda, che dura a lungo, prima che la quotidianità ed i suoi derivati ansiogeni mi riavviluppino nelle proprie spire, finché non torno ad avvertire nuovamente quel richiamo irresistibile che mi spinge a preparare lo zaino ancora una volta. Siamo davanti alla cattedrale del Santo apostolo, dopo aver percorso strade battute da cavalieri templari, antichi re e milioni di pellegrini. La commozione sale improvvisa, non credevo sarebbe successo nuovamente. I sentimenti anche quest’anno sono contrastanti. La gioia di aver raggiunto la meta si compenetra della tristezza di aver terminato il Cammino. Nella piazza troviamo Elena e le sorelle tedesche. Ci abbracciamo. Sandra non c’è, mi dicono sia in fila per quella Compostela che aveva detto di non volere. Mi dicono anche che ieri molte cose siano cambiate dopo il loro arrivo e dopo un lungo pianto. Se gli dai la possibilità, il Cammino ti cambia. Facciamo la lunga fila all’ufficio del pellegrino anche io e Pierre. Compro un paio di credenziali per eventuali prossimi cammini, ripongo la mia seconda Compostela nello zaino, lascio i bastoncini da trekking in un area apposita, dove altri pellegrini potranno farne uso. Abbraccio Pierre, ci diamo appuntamento a domani, al mio ritorno dalla fine delle terre conosciute, per una cena insieme a Martin e alle ragazze e vado incontro a Francesca e Francesco di Rieti per andare a Muxia e Finisterre con la macchina. Francesca e Francesco hanno affrontato una grande sfida: lui non vedente dalla nascita, lei sua amica e guida; 160 km di cammino Francese, alla faccia di chiunque abbia pensato che non fosse possibile. Il mio racconto, come il mio Cammino, termina qui. Ma forse il Cammino troverà un modo per continuare…

Foto: CARROZZONI ©

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