La lettera di monsignor Domenico Pompili, in occasione della sua prima Pasqua da vescovo di Rieti.
LA FIDUCIA E IL TRADIMENTO
Care sorelle e cari fratelli,
vorrei partire da una storiella, all’apparenza brutale, che lo psicanalista James Hillman racconta, in un suo breve saggio intitolato Puer aeternus.
Un padre, volendo insegnare al figlio a essere coraggioso, lo mette su un gradino sempre più alto dicendo ogni volta: «Salta che ti prendo». Però all’ultimo, il più alto, non lo prende e lo lascia cadere. Quando il bambino piangente e dolorante gli chiede perché, egli risponde imperturbabile: «Così impari. Mai fidarti di un ebreo, nemmeno se è tuo padre». Il racconto dice che il padre sta educando il figlio a una verità dolorosa ma ineludibile: il tradimento fa parte della vita, e spesso viene proprio dalle persone che crediamo più vicine, quelle per le quali metteremmo la mano sul fuoco. Possiamo essere traditi davvero solo là dove ci fidiamo sul serio. La fiducia e il tradimento sono come il giorno e la notte. Non si dà la fiducia senza la possibilità del tradimento. Diversamente, la fiducia sarebbe una pura finzione, che non costa nulla.
Si ricavano due conseguenze pratiche da ciò.
La prima è che per crescere bisogna tagliare il cordone della dipendenza e questo è sempre traumatico e doloroso, ma necessario se si vuole essere adulti, responsabili, liberi e non dipendenti. Nessuno ci dirà prima «Questa volta non ti prendo», e capiterà più volte che ci faremo male. È un’esperienza di solitudine senza la quale non si cresce («Se saltiamo dove ci sono sempre braccia ad accoglierci non è vero salto», ammonisce Hillman), un prepararsi alle iniquità della vita, a quei “perché?” per i quali non c’è, o non troviamo, risposta.
La seconda conseguenza è che di fronte alla disillusione cocente ci si trova a un bivio: o il cinismo (cioè la vendetta e il risentimento) oppure la resurrezione, cioè fare un passo avanti, da sé, senza appoggio. Allora il sale dell’amarezza, trasformato nel sale della saggezza, ci rende persone nuove, in grado di attraversare i deserti che inevitabilmente si incontrano e capaci di dare. Il dolore viene trasfigurato e diventa possibilità di dono e di perdono. Questo per quanto riguarda le umane vicende. Ma il tradimento è anche al cuore del mistero cristiano.
Quella di Gesù è una vicenda esemplare che ci aiuta a comprendere a fondo questa esperienza dal punto di vista di chi viene tradito. Il tradimento, infatti, segna ripetutamente la storia di Gesù: da parte di Giuda e da parte degli apostoli che si addormentano e lo lasciano solo. Le uniche che non lo tradiscono mai sono le donne. Perfino Pietro, il più vicino, lo tradisce e non una volta sola. Tutti siamo Giuda, tutti siamo Pietro! Ma l’amore adulto non rimane bloccato nel trauma.
«La tristezza dell’ultima cena, l’angoscia nell’ora del Getsemani e il grido sulla croce sembrano la ripetizione di uno stesso motivo […] ogni volta in una tonalità più alta. In ciascuna di queste esperienze Gesù è drammaticamente obbligato a prendere coscienza del fatto di essere stato abbandonato, deluso e lasciato solo», commenta Hillman.
In questo crescendo, è sulla croce che Gesù avverte nella propria carne tutto il senso di abbandono, ed è lì che grida il lungo lamento sulla fiducia in Dio Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È nel momento in cui Dio lo abbandona che Gesù diventa pienamente umano, patisce la tragedia dell’umanità. Senza passare attraverso il senso di abbandono, il suo essere uomo sarebbe stato solo apparente. E noi saremmo privi di un esempio per affrontare un’esperienza inevitabile nella nostra esistenza. Sino in fondo, quindi, Gesù percorre davanti a noi la strada che dovremo attraversare, vivendo per primo sulla sua pelle il dolore più grande.
Ma perché Dio “tradisce” Gesù? Perché lo lascia solo in quel momento terribile? Non certo, come hanno scritto per secoli anche i teologi, perché bisognava placarne l’ira. In realtà, Dio ama talmente il mondo da sacrificare l’unico Figlio per la sua redenzione. Questo implica che la dinamica del tradimento non può essere letta solo in termini psicologici, che sono riduttivi, ma chiede di essere compresa, con un salto di livello, in un quadro molto più grande, che è quello dell’amore. Solo in questo quadro il tradimento è fecondo e non mortifero.
L’amore è la chiave di tutto: se il tradimento è perpetrato per vantaggio personale, in gioco è sicuramente il potere. Abbandonare il Figlio, anche solo per un momento drammaticamente reale, per salvare noi è, al contrario, la prova di un amore più grande. Solo attraversando il deserto dell’abbandono, solo saltando nel vuoto è possibile rinascere a vita nuova. Conclude Hillman: «Quando si spezza la fiducia originaria, il Dio puer muore e nasce l’uomo. […] Dopo la nascita di Eva dal fianco di Adamo dormiente diventa possibile il male; dopo che il fianco di Gesù tradito e morente è stato trafitto, diventa possibile l’amore».
Nella nostra vita non sono tanto importanti i fatti. L’esistenza di ognuno è segnata presto o tardi da avvenimenti dolorosi e tragici, ma ciò che conta è come reagiamo, come sappiamo portarli avanti e trasformarli. Ciò che fa la differenza è solo quello che grazie ai fatti diventiamo. Come dimostra in modo insuperabile la vicenda di Gesù di Nazareth, morto e risorto per noi.
Buona Pasqua di Risurrezione!