(di Matteo Carrozzoni) Una massiccia ed emozionata partecipazione ai funerali di Andrea Milardi. RietiLife ha raccolto il ricordo di alcune figure, in particolare sportive, che hanno partecipato alla cerimonia.
Prof. Gianni cavoli, allenatore
“Non posso dimenticare la volta che avemmo una dura discussione e mi allontanai dal camposcuola. Arrivò a far pubblicare una lettera sul sito della Cariri pur di farmi tornare sui miei passi. Lui era così, arrivava a superare tutto pur di dare qualcosa in più al suo sport. Adesso tocca a noi superare tutto, piccole divisioni, personalismi ed iniziare a collaborare tutti insieme perché un uomo così straordinario non si troverà più. Ho pensato che solo un matto potesse aver trascorso 50 anni della sua vita al campo ma forse in realtà non era un matto, era un santo”.
Riccardo Balloni, ex atleta, allenatore asta.
“Andrea mi ha cresciuto. Sto vivendo giorni surreali perché non è facile accettare che una persona che era sempre presente ora non ci sia più. Sapeva rimproverare in modo duro e riappacificarsi come niente, per dare qualcosa in più a quello che il motivo della sua vita, che non era l’atletica ma i giovani. Lui aveva un obiettivo socio-pedagogico e ha trasformato un luogo di sport in una comunità che ha coinvolto non solo ragazzi ma famiglie. Non è facile lasciare un segno nella vita, lui ci è riuscito”.
Fabrizio Donato e Patrizia Spuri, campioni italiani
“È difficile essere qui oggi perché lui per noi è stato qualcosa di più che un allenatore. Ha avuto un ruolo importante nella nostra vita ed è stato persino nostro testimone di nozze. Ha fatto tanto per l’atletica, per noi e per tanta gente. Possiamo solo dirgli grazie.
Enrico Zanti, fisioterapista Forestale
“Insostituibile. Rieti dovrebbe fargli una statua d’oro. Per capire che era Andrea basti pensare che andava a prendere con la sua macchina i ragazzi del cicolano per portarli ad allenare. Chi farebbe una cosa simile ai giorni nostri? Era caparbio e costante. Unico”.
Edoardo De Sanctis, ex atleta
“Da quando vinsi la Scheggia Sabina nel 1986 non ha mai smesso di cercarmi, telefonarmi. Un giorno venne persino a vedermi giocare una partita di rugby per chiedermi di correre la 4 x 100 agli ormai lontanissimi campionati di Bisceglie. Aveva dei modi unici come l’antico rituale di chiamarti a casa, condurti nello scantinato per consegnarti la tuta e le scarpette chiodate, in una sorta di battesimo che regalava emozioni, trasformando una cosa apparentemente semplice in magica. E proprio il suo dare importanza alle persone e alle cose semplici riusciva a fare breccia nel cuore delle persone”. Foto: Gianluca VANNICELLI / Agenzia PRIMO PIANO ©