Grande partecipazione al seminario “Jobs Act e mini-riforma del Lavoro: le novità nel diritto del lavoro” organizzato dalla Federlazio di Rieti e svoltosi presso la Camera di Commercio di Rieti.
Un seminario patrocinato dall’Ente camerale reatino ed accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Rieti, dall’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Rieti e dell’Aquila, e dall’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Rieti, che, come spiegato dal presidente della Federlazio di Rieti, Riccardo Bianchi, “ha sviscerato con l’ausilio di esperti giuslavoristi le principali novità in materia di diritto del lavoro introdotte dal Jobs Act e dalla Legge di Stabilità, proprio per uscire dall’ottica ideologica e capire come questa riforma possa rappresentare un’opportunità per le piccole e medie imprese del nostro territorio”. Il seminario, moderato dal direttore della Federlazio di Rieti, Giuseppe Scopigno, dopo il saluto del presidente della Camera di Commercio di Rieti, Vincenzo Regnini, ha visto alternarsi le relazioni degli avvocati giuslavoristi Riccardo Bolognesi, Antonella Sannino e Andrea Lutri, oltre che di Marco Caranzetti, consulente Federlazio, e di Andrea D’Alessio, responsabile del servizio sindacale di Federlazio, che hanno affrontato i temi del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, della nuova disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, del riordino della disciplina dei contratti di lavoro, delle agevolazioni alle aziende per le nuove assunzioni, della riforma degli ammortizzatori sociali e delle principali novità introdotte dalla Legge di Stabilità (la cosiddetta mini-riforma del lavoro).
“Si tratta per gli imprenditori di una opportunità che va valutata con fiducia – ha spiegato Riccardo Bolognesi – perché attraverso il sistema di riduzione delle tutele si punta al contempo ad incrementare l’occupazione, la voglia di investire e la possibilità di instaurare rapporti di lavori con costi molto inferiori beneficiando di sgravi contributivi e fiscali per i primi 36 mesi. In questo è la logica dell’intera riforma che dà benefici immediati”.
“La regolazione del lavoro in Italia è da sempre tradizionalmente complessa e incertamente applicata, – ha illustrato Giuseppe Scopigno – basti pensare che il Testo unico sull’apprendistato è stato modificato 11 volte dal 2011 e il lavoro a termine almeno 10 volte nello stesso periodo. In particolare, con la crisi sono stati varati provvedimenti che nelle migliori intenzioni del legislatore avrebbero dovuto favorire l’incremento dell’occupazione. I dati tuttavia sono impietosi: nonostante la proliferazione di norme in campo giuslavoristico, i tassi di disoccupazione hanno marcato nel corso del 2014 nuovi record, che non possono in alcun modo essere compensati da qualche timido segnale di ripresa che si intravvede oggi”.
“Verosimilmente l’errore di valutazione sta nel legare l’incremento dell’occupazione alla regolamentazione del mercato del lavoro piuttosto che alla capacità di crescita del sistema imprenditoriale italiano. – ha aggiunto – Di certo un continuo cambiamento delle regole, spesso caratterizzato da complessità del dettato normativo e proliferazione degli adempimenti, contribuisce a rendere poco certo il diritto piuttosto che competitivo il mercato. Non è un caso che le imprese straniere, al di là dell’elevata tassazione, sono diffidenti ad investire in Italia a causa dell’incertezza del diritto, dell’eccessiva burocrazia e della conflittualità in materia di lavoro, quindi, propendendo per radicamenti in altri territori più stabili e convenienti. Dovremmo anche cercare di uscire dallo schema mentale che se si accresce la flessibilità del lavoro, le imprese sarebbero più propense ad assumere; ci sarebbe piuttosto necessità di un Piano di investimenti pubblici, che faccia da stimolo agli investimenti privati, dia impulso alla domanda e crei nuove occasioni di lavoro”.
“Come Federlazio – ha concluso Scopigno – avremmo preferito anche un intervento sul versante dei tributi diretti, che – normalmente – ha un effetto più incisivo sull’equilibrio economico aziendale oltre che contribuire a stimolare una fiducia per una ripresa economica generale. Se si considera che, per un imprenditore, la riduzione del personale costituisce una perdita di “patrimonio aziendale”, oltre che una riduzione di capacità produttiva e di sviluppo, e che l’attuale crisi economica sta determinando la chiusura di aziende di ogni tipo, con ripercussioni non solo sui lavoratori coinvolti e le loro famiglie, ma anche sul territorio nel quale sono ubicate, allora appare più chiara la necessità di una programmazione economica pluriennale, degna di un paese evoluto, e di interventi strutturali conseguenti. Nella stagione che si sta aprendo sarebbe auspicabile uno sforzo di ulteriore apertura: una sinergia tra istituzioni, associazioni e imprenditori che credono nelle loro aziende e le patrimonializzano, capitali pazienti che accettano di sostenere la ricerca e i progetti innovativi, nuove risorse manageriali che subentrino laddove la staffetta generazionale si rivela impraticabile”. Foto: Gianluca VANNICELLI/Agenzia PRIMO PIANO ©