Kobe Bryant supera Michael Jordan. Dai campetti di Rieti all’Olimpo della Nba, il fenomeno dei Los Angeles Lakers ha scritto la storia, sorpassando Jordan al terzo posto della classifica dei migliori realizzatori Nba di tutti i tempi. Il migliore ad aver mai giocato a basket è fermo a 32.292 punti, il numero 24 gialloviola lo ha scalzato stanotte in Minnesota-Lakers (vittoria dei Lakers per 100-94 con 26 punti di Bryant) con un tiro dalla lunetta. Era piccolissimo quando il papà Joe Bryant giocava nella Sebastiani. Questo il racconto del suo rapporto con Rieti, tratto dal portale Basketrieti.com.
Nel 1984 Kobe Bryant aveva solo 7 anni e nessuno immaginava che sarebbe diventato la star NBA che tutti conosciamo.
Kobe, il cui nome deriva da uno tenerissimo tipo di carne assaggiata da papà Joe e mamma Pamela durante un viaggio in Giappone, non mancava mai alle partite del padre, di cui seguiva sempre gli allenamenti con la speranza di poter fare qualche tiro. Ma quando la squadra doveva iniziare a lavorare, per mandarlo fuori dal campo, i giocatori dovevano letteralmente cacciarlo via prendendolo scherzosamente a calci, non immaginando che quel bambino sarebbe diventato l’erede di Michael Jordan che, a sua volta, nel 1984 ancora doveva diventare il mito che tutti conoscono (all’epoca infatti Air Jordan era solo alla seconda stagione con i Chicago Bulls).
Bryant jr. ripeteva che da grande sarebbe diventato un campione dell’NBA. «Fantasie da bambino» pensavano i grandi accarezzandolo. Invece quel sogno sarebbe diventato la più grande realtà del basket americano a cavallo dei due secoli.
«Kobe voleva sempre tirare – ricorda Melillo – o sfidare uno contro uno chiunque. Voleva verificare continuamente la sua bravura e i suoi progressi. Mi chiedevo se sarebbe diventato bravo come il padre, ma non pensavo che lo avrebbe surclassato in quel modo».
Il piccolo Bryant era già un fenomeno. Claudio Di Fazi, figlio di Italo, per farlo divertire, decise di schierarlo nel trofeo minibasket di Rieti, malgrado avesse due-tre anni in meno dei giocatori ammessi. Kobe non avrebbe potuto giocare ma l’allenatore della squadra avversaria, Gioacchino Fusacchia, chiuse un occhio: «Così piccolo cosa potrà mai fare?» pensò candidamente.
Invece, non appena iniziò la partita, Kobe si impossessò della palla e andò a segnare. Gli avversari effettuarono la rimessa ma Kobe intercettò la palla e segnò ancora. Nuova rimessa avversaria e nuova palla rubata e nuovo canestro di Kobe. Si andò avanti così per altre 4 o 5 azioni. In pratica Kobe stava giocando da solo contro 9 perché, non solo non stava facendo giocare gli avversari, ma non faceva giocare neanche i suoi compagni a cui non passava mai la palla. Alla faccia dei tre anni in meno di età! A quel punto qualche bambino cominciò a piangere, i genitori si spazientirono e Fusacchia chiamò subito time-out per andare dall’amico Di Fazi e dirgli: «O togli subito Kobe dal campo o faccio un macello e ritiro la squadra perché è pure fuori età!».
«Ok – rispose rassegnato Claudio – ma ora chi glielo spiega a Kobe?» il quale infatti non capì perché doveva abbandonare la partita e scoppiò in un pianto dirotto. Dovettero inventarsi l’immaginario trofeo di miglior giocatore del torneo per consolarlo.
Insomma, Kobe aveva le stimmate del campione. Sopra il portone di casa Bryant, che fu anche di Sojourner, c’era montato un canestro dove il piccolo Bryant tirò per ore e ore, tutti i santi giorni per due anni consecutivi, senza mai colpire i vetri della porta sottostante.
All Star Game 1986 a Roma. Naturalmente Kobe era a bordo campo a fare il raccattapalle mentre papà Joe non solo giocava, ma stava per aggiudicarsi il titolo di MVP della serata. Tra un tempo e l’altro Kobe prese palla e si mise a tirare a canestro. Non sbagliò quasi mai. I circa 7000 spettatori presenti non poterono fare a meno di applaudire entusiasti quel piccolo fenomeno.
Di lì a una diecina di anni Bryant jr. sarebbe diventato il numero uno dell’NBA con i Los Angeles Lakers e avrebbe vinto titoli a ripetizione, alla faccia di quella professoressa di educazione fisica delle scuole medie di Reggio Emilia che, ritenendo Kobe troppo gracile, gli consigliò di abbandonare il basket per darsi al calcio!
Foto: RietiLife ©