Nuovo appuntamento con la rubrica domenicale di Don Fabrizio Borrello. In questa ultima settimana le cronache locali, quelle nazionali e internazionali ci hanno fornito molti spunti di riflessione. Potremmo cominciare dalla dolorosa tragedia della “nostrana” mamma Roberta, incidentalmente caduta e morta sul Terminillo, domenica scorsa; oppure prendere in esame la bizzarra e stravagante, se non fosse per il risvolto di morte che sembra portare con sé, vicenda dei vaccini antinfluenzali “difettosi”; non ultimo, sarebbe interessante puntare l’attenzione sul viaggio di papa Francesco in Turchia, come sempre ricco di segni profetici e controcorrente. Questa volta, però, non vorrei soffermarmi su un evento in particolare, ma dare cassa di risonanza ad un annuncio che risuonava oggi nelle chiese ma che credo abbia grande valenza per tutti, credenti e non credenti. Nel brano del Vangelo di questa domenica, la prima del nuovo anno liturgico (per la Chiesa Cattolica l’anno inizia la prima domenica di Avvento, tempo che prepara al Natale), Gesù chiede ai suoi di “stare attenti e vigilare”. Mi sembrano due interessanti esortazioni, quanto mai attuali! Innanzitutto il richiamo all’attenzione. È sotto gli occhi di tutti come la nostra società e la nostra cultura siano “distratte”. Potremmo dire che la distrazione è la figlia maggiore della superficialità. Vivendo la maggior parte delle esperienze rimanendo in superficie, difficilmente ci si ferma con attenzione a osservare e riflettere su quello che accade. Tutto questo ha un pesante risvolto nelle relazioni umane, costruite solo su quello che appare e sembra e poco sulla sostanza. La “superficialità” distrugge inoltre la cultura dell’incontro, trasformandola nella cultura del “mordi e fuggi”. Ma ha un pesante risvolto anche nell’incapacità di fare in modo che le esperienze, belle o brutte, drammatiche o gioiose, della vita ci parlino e siano veicolo di crescita. E forse è questa la causa poi di reazioni spesso irrazionali e esagerate. Quel “fate attenzione” ci chiede quindi di fermare l’attenzione, osservare, ascoltare, accogliere l’altro e gli eventi della storia non lasciando che passino e basta, ma facendo in modo che lascino segni indelebili del loro passaggio, segni che diventano materia per quella “scuola di vita” che ogni giorno siamo chiamati a frequentare. A questo verbo Gesù ne aggiunge un altro: “vigilare”. È la diretta conseguenza della prima esortazione. Non si può fare attenzione se si dorme. Per fare attenzione è necessario essere svegli e per rimanere svegli bisogna essere attivi. Una società superficiale è soprattutto una società addormentata. Vigilare vuol dire avere occhi che sanno scrutare, profondamente radicati e fissi sulla realtà. Vigila chi conosce ciò che lo circonda ed è quindi attento a ogni piccola variazione dell’orizzonte per scorgere il pericolo. Fuor di metafora, vigilare vuol dire avere una vita che si informa, che cerca di approfondire la conoscenza, che si fa protagonista dell’accaduto e non lo subisce, che sa assumersi la responsabilità di ciò che accade nella storia. Mi sembra di poter affermare che queste parole di Gesù sono un forte stimolo a non subire la vita, a non lasciarsi sopraffare dal pessimismo ma soprattutto possiamo accoglierle come un aprirci gli occhi per scoprire che siamo pieni di risorse da mettere in gioco perché il mondo davvero cambi nella direzione di quel bene sempre possibile e da realizzare… e di cui noi possiamo essere coprotagonisti e corresponsabili. Foto: RietiLife ©