(di Paola Corradini) Ieri mattina un urlo ha squarciato la serenità di una domenica assolata in una piazza affollata. Corpi stesi a terra con una mano sulla bocca e silenzio. Poi uno dei corpi si alza e scoprendo le labbra coperte di rosso inizia a dare voce ad una delle tante vittime di femminicidio, raccontando la sua storia. Sino ad oggi, Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, sono 106 le vittime innocenti uccise da mariti, padri, fratelli, compagni o sconosciuti nel 2024.
Dopo aver raccontato di una di loro, di nuovo a terra, immobile. E così ancora e ancora mentre al centro c’è un vaso trasparente dove ci sono 106 sassi, ognuno con un nome scritto in rosso, il nome di una donna, una madre, una figlia, una sorella, un’anziana, una giovane, una bambina uccisa.
Ad aprire il flash mob è Dea Mariantoni che, mentre le persone si stringono attorno al gruppo di corpi stesi uno accanto all’altro, tra chi assiste in silenzio c’è anche il prefetto di Rieti, Pinuccia Nigluo, legge una poesia: Nseme a ti hau ortraggiatu ogni monella, vittima innocente, non te senti più sola, m’a pijatu nell’anima, e, a ti, u core vola, bojo statte ecinu, ecinu a luce de una stella,
prechè, nu munnu, se fa sempre più scuru…
Bojo abbracciatte forte e repijamme l’innocenza.
C’è tanta commozione intorno ma anche tanta rabbia quando al termine del flash mob si alza un grido comune, liberatorio, mentre donne e ragazze, ora tutte in piedi, agitano un mazzo di chiavi a dimostrare che la violenza è quasi sempre dentro casa. “Oltre che lottare e piangere, giorno e notte, per i continui femminicidi, transcidi e lesbicidi, oggi abbiamo voluto ribadire ancora e ancora e ancora che I CORPI SONO I NOSTRI, CHE UN NO VUOL DIRE NO E CHE LA VIOLENZA PATRIARCALE È UN DATO DI FATTO” scrive Alice che è riuscita a coinvolgere donne di tutte le età per dare vita a quella che è stata a tutti gli effetti una protesta ma anche la richiesta che il 25 novembre non sia l’unico giorno in cui si ricordano le vittime, perché i femminicidi e la violenza di genere non guardano le date. “Restiamo uniti – è il grido lanciato – perché la nostra rabbia e sofferenza si trasformino in forza e rivendicazione”.
Se domani sarò io, sorella, voglio essere l’ultima. Se domani sarò io, brucia tutto.
Questa frase, ribadita anche ieri, è l’ultima strofa della poesia di Cristina Torre Cáceres, dedicata proprio alle vittime di violenza e diventata famosa perché citata, a pochi giorni dal ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, da sua sorella Elena.
Mentre i corpi sono stesi a terra, due bambini si siedono accanto a loro. Uno dei due dice: “Perché sono rosse in faccia?”, e l’altro risponde: “Perché dicono no”