“Continua a scendere il numero complessivo degli artigiani presenti nel nostro Paese. Secondo l’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Rieti anche il numero delle aziende artigiane attive è in forte calo. Se nel 2008 (anno in cui si è toccato il picco massimo di questo inizio di secolo), le imprese artigiane erano pari a 1.486. 559 unità, successivamente sono scese costantemente e nel 2023 si sono fermate a quota 1.258.079. Negli ultimi decenni tante professioni ad alta intensità manuale hanno subito una svalutazione culturale che ha allontanato molti ragazzi dal mondo dell’artigianato”: scrive Confartigianato Rieti.
E continua: “Il tratto del profondo cambiamento avvenuto, ad esempio, è riscontrabile dal risultato che emerge dalla comparazione tra il numero di avvocati e di idraulici presenti nel nostro Paese: se i primi sfiorano le 237mila unità, si stima che i secondi siano “solo” 180mila. La contrazione degli artigiani e delle loro attività si possono notare anche a occhio nudo. Girando per le nostre città e i paesi di provincia sono ormai in via di estinzione tantissime botteghe artigianali. Non solo diminuisce il numero degli artigiani e le aziende di questo settore, ma anche il paesaggio urbano sta cambiando volto. Non tutti i settori artigiani hanno subito la crisi. Quelli del benessere e dell’informatica presentano dati in controtendenza. Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori.
Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. La causa delle chiusure L’invecchiamento progressivo della popolazione artigiana, provocato in particolar modo anche da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali hanno costretto molti artigiani a gettare la spugna. Una parte della “responsabilità”, comunque, è ascrivibile anche ai consumatori che in questi ultimi dieci anni hanno cambiato radicalmente il modo di fare gli acquisti, sposando la cultura dell’usa e getta, preferendo il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale.
L’artigianato è stato “dipinto” come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno i ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio. Per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore.
E nonostante la crisi e i problemi generali che attanagliano l’artigianato, non sono pochi gli imprenditori di questo settore che da tempo segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo. In tutto il Paese si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, le estetiste, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri. Più in generale, comunque, l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i “vecchi saperi”. Alla base di tutto, comunque, rimarrà il saper fare che è il vero motore della nostra eccellenza manifatturiera.
Andamento artigiani in Italia in 11 anni (per provincia) Tra il 2023 e il 2012 è stata Vercelli la provincia con il -32,7 per cento ad aver registrato la variazione negativa più elevata d’Italia. Seguono Rovigo con -31, Lucca con -30,8 e Teramo con il – 30,6 per cento. Le realtà, invece, che hanno subito le flessioni più contenute sono state Napoli con il -8,1, Trieste con il -7,9 e, infine, Bolzano con il -6,1 per cento. Rieti si colloca in 44esima posizione su scala nazionale, registrando una variazione negativa con il -23,5. Per quanto riguarda le regioni, infine, le flessioni più marcate in termini percentuali hanno interessato l’Abruzzo con il -29,2 per cento, le Marche con il -26,3 e il Piemonte con il -25,8. In valore assoluto, invece, le perdite di più significative hanno interessato la Lombardia con -60.412 unità, l’Emila Romagna con -46.696 e il Piemonte con -46.139. Il Lazio ha fatto registrare una variazione pari al -19. Il dato medio nazionale è stato pari al -22 per cento. Tornando sul dato di Rieti, si è passati dalle 5108 unità del 2012 alle 3910 del 2023. che tradotto in numeri significa che abbiamo perso in undici anni 1198 imprese artigiane. Eppure paradosso per paradosso non si trovano lavoratori, specie qualificati, in tantissimi settori che compongono la galassia artigiani” conclude Confartigianato Rieti.