La basilica di sant’Agostino, scrigno d’arte e di storia cittadina, è impreziosita nel transetto da due splendidi altari: quello Clarelli e quello Canali rispettivamente a destra e a sinistra dell’abside. Fu Rodolfo Innocenti da Maltignano (località nei pressi di Cascia), mercante in Rieti, nel 1640 a chiedere ed ottenere dai frati agostiniani il permesso di erigere un altare alla sua illustre compaesana, Margherita Lotti, da tutti conosciuta come Rita da Cascia. Fu poi la famiglia Canali e, nello specifico, il “cittadino Luigi Canali” (come attesta la scritta in basso destra dell’altare) a rilevare l’altare nel 1787 per la somma di 63 scudi. Sull’altare ligneo spicca la tela raffigurante l’Estasi di santa Rita da Cascia. L’opera firmata dal pittore fiorentino Lattanzio Niccoli attivo a Rieti nella prima metà del XVII sec. e datata al 1643, raffigura la santa in estasi di fronte al crocifisso sorretta da un angelo a destra mentre altri piccoli angeli musicanti tra le nubi accompagnano la visione. Pochi anni prima Urbano VIII, che prima di diventare papa era stato vescovo di Spoleto e ben conosceva quanto Rita fosse venerata, aveva avviato il processo canonico di canonizzazione, e, una volta dichiarata beata, aveva disposto che in tutte le chiese agostiniane si celebrassero delle messe in suo onore. In quest’ottica si colloca anche l’erezione della cappella dedicata a Rita da Cascia nella nostra basilica reatina: è dalla chiesa di Sant’Agostino, cuore dell’ordine agostiniano nella città di Rieti, che si propagò il culto per la monaca casciana.
In sant’Agostino a celebrare la santa non si trova solo il suddetto altare, ma si conserva anche una piccola reliquia: un pezzo di stoffa dell’abito monacale di santa Rita viene conservato in un reliquiario in argento sbalzato del XVII sec. su base di legno dorato.
Nata a Roccaporena nel 1381, figlia unica di due pacieri, Rita venne battezzata nella chiesa agostiniana di san Giovanni Battista, iniziando in tal modo sin dalla nascita il suo legame con l’ordine agostiniano. La fanciulla coltivava il desiderio di consacrare la sua vita a Dio, ma poi accantonò questo desiderio quando sposò un giovane, Paolo di Ferdinando di Mancino, dal quale ebbe due figli, Giangiacomo e Paolo Maria. Rimasta vedova dopo la morte violenta del marito, di cui non volle rivelare il nome degli assassini per non innescare una faida familiare e poco dopo rimasta sola dopo la morte per malattia di entrambi i figli, chiese più volte si essere ammessa nel convento agostiniano di santa Maria Maddalena andando incontro al netto rifiuto della madre badessa. La tradizione vuole che, tanto forte era il desidero di farsi monaca che, una notte, mentre pregava nella sua casa a Roccaporena, Rita, accompagnata dai suoi santi protettori Giovanni Battista, Agostino e Nicola da
Tolentino (all’epoca ancora beato), venisse trasportata in volo all’interno delle mura del convento di Cascia dove fu trovata dalle consorelle la mattina seguente. Da questo episodio trae origine l’appellativo di “santa delle cose impossibili” e dagli anni ‘30 del Novecento anche la protettrice di coloro che si muovono “trasportati” da mezzi meccanici.
Ogni anno il 22 maggio, giorno della salita al cielo di santa Rita, la benedizione non delle automobili, ma dei conducenti è il momento culminante di un triduo liturgico durante il quale, da quando la chiesa di sant’Agostino è stata eletta a basilica minore, si può lucrare l’indulgenza plenaria e si può pregare la santa che con la sua vita è stata un esempio, come ha detto papa Francesco, di “donna, sposa, madre, vedova e monaca”.