Matteo, suicida in carcere a 25 anni: “Lo Stato l’ha ammazzato”. Avviata indagine, Ilaria Cucchi a Del Mastro: “Deve risponderne”

(r.l.) Aperto un fascicolo sulla morte del reatino Matteo Concetti, 25 anni, morto suicida il 5 gennaio nel carcere di Monteacuto (Ancona) dove si trovava per reati legati alla droga e contro il patrimonio (leggi): doveva scontare 8 mesi e si trovava in isolamento. La mamma ha presentato denuncia e le indagini ruoteranno attorno all’istigazione al suicidio. Disposto il sequestro della salma, con l’autopsia fissata per venerdì 12 gennaio. Le indagini sono coordinate dal pm Marco Pucilli.

“Lo hanno lasciato morire come un cane. Lo Stato me l’ha ammazzato – ha detto al Corriere della Sera la mamma di Matteo, Roberta Faraglia, reatina – Piangeva e urlava: mamma non mi lasciare, se mi portano di nuovo laggiù io mi impicco” racconta la donna dell’incontro col figlio, poche ore prima della morte del giovane. “Fino all’ultimo ha continuato a urlare che si sarebbe ammazzato — racconta la donna — C’era anche un’infermiera del Sert. L’ho supplicata di aiutarmi, di chiamare un medico, di metterlo in sicurezza, di fargli un Tso. Ho chiesto di parlare con il direttore. Niente”. La donna ripercorre la malattia del figlio, affetto da bipolarismo e in terapia con “medicinali che lo facevano stare bene”. Ricorda di come gli abbia manifestato anche l’intenzione di restare vicina al carcere per assicurarsi che stesse bene. Ma Matteo poco dopo si è suicidato.

A Matteo – ricostruisce TgCom24mancavano da scontare altri otto mesi. All’inizio aveva goduto di un regime alternativo: lavorava in una pizzeria con l’obbligo di far rientro a casa entro un certo orario. Ma aveva violato di un’ora il rientro e per questo il giudice lo aveva mandato in carcere. Prima a Fermo e da novembre ad Ancona. “Per un’ora di permesso lo hanno messo in carcere — si sfoga la madre al CorSera – Il giudice si dovrebbe vergognare. Anche lui ce l’ha sulla coscienza. Mio figlio aveva bisogno di cure. Era giusto che scontasse la sua pena, ma in modo adeguato alla sua patologia”.

“Vorrei capire dove si è impiccato – si domanda la madre ancora negli articoli di stampa – visto che era alto e palestrato e nella cella non c’è né un lavandino, né un termosifone. Come si può impiccare un detenuto in isolamento, dove non si dovrebbe avere niente, neanche i lacci delle scarpe? E invece mi hanno ridato le sue scarpe con i lacci e infangate. Ma com’è possibile visto che non poteva andare da nessuna parte?”. E anche sul perché fosse finito in isolamento ci sono tante domande che si pone la famiglia: a quanto emerso la versione ufficiale è per una lite con gli agenti. “Matteo e altri detenuti avevano protestato per la condizione del carcere. Gli avevano fatto bere anche l’acqua non potabile e si erano ammalati tutti. Lui ci ha scritto una lunga lettera su quello che succedeva in quel carcere” ricostruisce la donna, dando una sua versione dei fatti.

Del caso di Matteo Concetti è stata interessata la senatrice Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, protagonista – suo malgrado – di un enorme caso giudiziario legato a forze dell’ordine e carcere. Cucchi ha scritto una lettera al sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, pubblicata da La Stampa. “A lei non interessa nulla il fatto che Matteo, persona con particolari deficit psichiatrici, la sera del 4 gennaio sia stato trovato morto impiccato nella cella di isolamento. Caro sottosegretario le confesso che io, a differenza sua mi sento tanto in colpa. Perché la madre di quel ragazzo – ricorda la senatrice – aveva cercato di contattarmi riuscendo a parlare con me al telefono alle 14 di quel maledetto giorno. Ho fatto mie quelle preoccupazioni. Stavo preparando le valigie per fare ritorno a Roma ripromettendomi che alla ripresa del mio lavoro, la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata quella di contattare il carcere e il Dap. Non ho fatto in tempo: Matteo Concetti è deceduto alle 20 di quello stesso giorno in cui sua madre aveva parlato con me. Mi sto chiedendo se avrei potuto fare qualcosa per salvarlo. Il sindacato di Polizia Penitenziaria, puntuale come sempre, fa sapere che nei giorni precedenti Matteo aveva aggredito un agente. Ma era un malato psichiatrico con tanto di amministratore di sostegno, caro sottosegretario, le interessa tutto questo? Si sente in colpa come titolare delle funzioni istituzionali che riveste o quantomeno come uomo? Onestamente non credo. Lei e soltanto lei, oggi, dovrà rispondere su questa tragedia. Ma non mi aspetto nulla da parte sua. Sono note le sue vibranti prese di posizione per abolire la legge che punisce la tortura. Io porto il peso di questa immane tragedia. Sicuramente vive meglio lei, tra feste, cene e proclami. Farei a cambio con Lei? No grazie. Preferisco la mia vita”, si conclude la lettera.

Foto: RietiLife ©

 

Print Friendly, PDF & Email