A sette anni dal terremoto di Amatrice che ha sconvolto il Reatino e tutta l’Italia, è tempo di ricordare la storia di chi per ore e ore senza sosta ha servito il paese per aiutare una comunità sconvolta e spossata dalla tragedia. È il caso di Barbara Pinto Folicaldi, Capo Raggruppamento Lazio del CISOM, ha svolto un ruolo fondamentale nell’intervento ad Amatrice dopo il terremoto che ha colpito il centro Italia nel 2016. Appena giunta sul posto si è subito trovata immersa in un panorama di caos e devastazione. Il compito della sua squadra, intervenuta nelle prime 72 ore, è stato quello di costruire una vita alternativa per la popolazione colpita dal terremoto, permettendo al Comune di riorganizzarsi in seguito all’evento traumatico.
“Sono rimasta profondamente colpita dalle strade, uno spettacolo triste di distruzione e desolazione, gremite di volontari accorsi da tutta Italia per aiutare. Le prime 72 ore sono state intense, ma il desiderio di aiutare coloro che avevano perso tutto ha spinto me e la mia squadra a superare la stanchezza e il bisogno di riposo. Abbiamo dormito appena dieci ore in totale, ma eravamo tutti uniti, sostenendoci reciprocamente”. A Barbara e al suo team è stato affidato il compito di allestire un campo di accoglienza presso il palazzetto dello Sport: “La nostra missione per il Dipartimento di Protezione Civile era di fornire assistenza alla popolazione; quindi, ci siamo impegnati al massimo per creare un ambiente accogliente e funzionale. Con l’aiuto di una squadra di ragazzi bravissimi, abbiamo improvvisato una cucina da campo utilizzando fornelletti da campo e abbiamo preparato da mangiare giorno e notte per due giorni, utilizzando le donazioni ricevute per sfamare la popolazione sfollata e tutti i volontari ad Amatrice. Quando siamo arrivati la sera del 24 agosto, il palazzetto era già pieno di cibo e vestiti donati da coloro che cercavano di aiutare i terremotati”.
In mezzo a tutto il dolore, Barbara ricorda l’incontro con una signora anziana, la più anziana del paese, a cui era stato dato il triste compito di identificare i suoi concittadini defunti: “Veniva chiamata tutti i giorni per riconoscere i suoi compaesani, perché spesso non c’era nessuno che li riconoscesse. Un giorno è tornata al campo estremamente stanca e, quando le abbiamo chiesto il motivo, ci ha risposto che quel giorno aveva dovuto riconoscere nove persone, il che l’aveva profondamente provata. In un altro giorno, un volontario di un’altra associazione, che prestava servizio alla camera mortuaria, è venuto da noi per distrarsi un po’ e cercare sollievo perché non ce la faceva più a seguire quel servizio; era troppo difficile emotivamente anche per lui supportare i parenti durante i riconoscimenti”.
Il terremoto aveva sconvolto l’intero centro Italia e tutti i volontari, sono statti attivi per mesi. “L’urgenza di prestare soccorso si univa alla speranza di ritrovare ciò che era stato perduto. Riconosco che eventi di questo genere siano imprevedibili e travolgenti; nessuna preparazione, né emotiva né fisica, può renderci completamente impermeabili alle emozioni e alle difficoltà che emergono in tali situazioni. Tuttavia, nonostante la natura inarrestabile di tali tragedie, è di vitale importanza formarsi il più possibile per affrontare al meglio queste emergenze. Proprio per questo motivo, il CISOM organizza puntualmente corsi di formazione ed esercitazioni, che costituiscono una guida preziosa per prendere decisioni rapide, gestire lo stress, lavorare in squadra e fornire supporto reciproco. Questi aspetti sono fondamentali per reagire in modo tempestivo ed efficace durante situazioni di crisi”.
L’esperienza di Barbara e della sua squadra è stata lunga e intensa, intervenendo anche in altre città colpite dal terremoto nei mesi successivi. “Il terremoto nel centro Italia ha significato per noi diversi mesi di servizio. Nel mio caso specifico, sono stata mandata a San Severino Marche a fine ottobre, per poi essere incaricata di recuperare le opere d’arte tra novembre e dicembre a Norcia e Cascia. È stato un periodo intenso, che mi ha dato modo di riflettere molto, passando tra città distrutte e altre meno colpite. Sicuramente Amatrice è stata particolarmente toccante poiché tantissime persone hanno perso la vita. Mi sono resa conto che, solo nel marzo dell’anno successivo, ho iniziato ad avere meno fastidio quando sentivo tremare qualcosa intorno a me. Anche se fisicamente ero lontana dalle scosse, la sensazione di instabilità continuava. In confronto ad altre situazioni di soccorso alle quali avevo partecipato, questa esperienza ha lasciato un’impronta più profonda ed è stata particolarmente impegnativa sotto tanti punti di vista. Il ritorno alla quotidianità è stato più faticoso del previsto anche perché, una volta tornati, spesso venivamo chiamati per portare soccorso e aiuto anche durante la giornata poiché, stando a Roma, eravamo i più vicini per rispondere alle richieste. È stato un lavoro costante, impegnativo e senza tregua, che ha caratterizzato la mia vita dal 24 agosto fino alla fine di gennaio. Il completamento di tutto questo l’ho vissuto quest’anno a giugno quando abbiamo riportato a Spoleto un’opera che avevamo recuperato dall’Abbazia di Sant’Eutizio. I Musei Vaticani hanno restaurato quest’opera per preservarne la memoria anche con riguardo al terremoto e per aiutare la Diocesi di Spoleto nella ricostruzione, in particolare delle opere d’arte soprattutto di devozione, che erano state recuperate. È stato un momento di grave emergenza e il lavoro che ha coinvolto tutti non deve andare dimenticato. Ogni sforzo, grande o piccolo che sia, contribuisce a ricostruire e a mantenere viva la memoria di ciò che è stato perso. È una responsabilità che tutti noi condividiamo, lavorando insieme per dare speranza e supporto alle comunità colpite dal terremoto.
Foto: Cisom ©