Occupazione in calo dell’1 per cento. Per la provincia reatina il 2022 si chiude con un saldo negativo: sono state infatti 55.700 le persone occupate lo scorso anno, contro le 56.300 del 2021. Una flessione che non accenna ad arrestarsi, se si considera il periodo precedente alla emergenza sanitaria quando gli occupati raggiungevano le 58 mila unità. Il desolante panorama – unico nel quadro regionale – emerge dal dossier ‘Il mercato del Lavoro nel Lazio’ realizzato dalla Uil regionale e dell’Istituto di ricerca Eures.
“Siamo vicini al collasso – commenta Alberto Paolucci, Segretario generale della Uil di Rieti e della Sabina romana – mentre tutte le altre province del Lazio, seppur con diversità, nel 2022 hanno mostrato segni di ripresa, che lasciano intravedere la fine del tunnel della pandemia, a Rieti il tunnel è senza fine. Seicento lavoratrici e lavoratori sono stati espulsi dal mercato del lavoro, 400 ne avevamo persi nel 2021”.
Il dossier della Uil e dell’Eures analizza poi le dinamiche di genere e mette in evidenza come il calo occupazionale osservato lo scorso anno abbia coinvolto sia le donne che gli uomini, sebbene in misura maggiore la componente maschile – pari a 32.200 mila unità (il 57,8 per cento del totale) – che ha registrato una flessione di circa 500 unità, mentre la contrazione tra le 23.500 lavoratrici è stata di 100 unità. “La nostra provincia è il fanalino di coda del Lazio – dice Paolucci – siamo un territorio che chiede investimenti ma non trova risposte. E se le trova sono negative, basti pensare che dal 2021 al 2022 sono andati in fumo mille posti di lavoro”.
Il dossier della Uil e dell’Eures va oltre: concentrando l’attenzione sui dati di flusso ricostruisce il modello occupazionale del reatino. Dei 9.384 contratti attivati nel 2022, appena il 23,7 per cento (poco più di duemila) ha avuto carattere stabile (tempo indeterminato o apprendistato), laddove la restante quota (7.156 contratti) si è configurata come precaria. Complessivamente, il 72 per cento delle attivazioni è a termine o in somministrazione, il 2,2 per cento intermittente e il 2,1 stagionale. Numeri che restituiscono un quadro – al pari di quello delineato sia a livello regionale che nazionale – sempre più incentrato sulla precarizzazione del mercato del lavoro, cui si accompagnano, inevitabilmente, scarse tutele e discontinuità lavorativa.
“Sono cifre che indignano e che gettano nello sconforto migliaia di persone – conclude Paolucci – e che devono far riflettere chi governa se invertire veramente la marcia o no, se ragionare finalmente in termini di sostenibilità sociale degli interventi. La Uil da tempo ha proposto di seguire il modello spagnolo per limitare l’abuso dei contratti precari. Bisogna fare una scelta di fondo: il lavoro precario deve costare di più di quello a tempo indeterminato”. Uno sguardo infine agli inattivi, ovvero coloro che non sono classificabili né come occupati né come disoccupati, lo scorso anno sono stati 32.900, 13.300 gli uomini (il 40,4% del totale), 19.600 le donne (il 69,6% del totale).
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