Coldiretti, i dati sulle agromafie e sull’usura

Dal caporalato al lavoro nero, dall’usura alle infiltrazioni mafiose nella ristorazione fino al macrotema del mancata chiusura del ciclo dei rifiuti. Sono solo alcuni dei fenomeni ancora presenti nel settore agricolo che vengono analizzati nel  rapporto presentato oggi a Palazzo Rospigliosi da Coldiretti Lazio e realizzato dalla Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, in collaborazione con la Regione Lazio e il Ministero della Transizione Ecologica. Un documento che analizza il fenomeno dell’illegalità e criminalità nelle filiere agroalimentari e nell’ambiente delle Province del Lazio.

Nel dibattito è intervenuto ilmagistrato Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Osservatorio Agromafie. il Vice Presidente della Regione Lazio, Daniele Leodori. Tra i relatori l’Avvocato generale presso la Corte di Cassazione e coordinatore del gruppo di ricerca, Pasquale Fimiani, Riccardo Fargione del Centro Studi di Coldiretti Divulga”, il Maggiore Aldo Papotto, Capo Divisione Gestione Risorse Finanziarie, Pianificazione Spesa e Controllo del Commissario di Governo Bonifica siti contaminati e discariche abusive e il giornalista, Stefano Liberti. A chiudere i lavori il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri.

“La crisi sociale ed economica determinata dalla Pandemia – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – ha avuto un impatto devastante sul comparto agroalimentare. Le inevitabili chiusure per lunghi periodi imposte dal lockdown hanno pesato su ristoranti e bar, mentre linflazione ha fatto lievitare i prezzi del cibo e il costo delle materie prime è notevolmente aumentato con una deflazione nei campi.  Aspetti che hanno contribuito alla crescita di fenomeni come l’usura e hanno creato terreno fertile per le organizzazioni criminali che hanno sfruttato le difficoltà economiche di chi lavora in questo settore. E’ fondamentale continuare a svolgere un attento monitoraggio così come la Fondazione Osservazione Agromafie sta facendo, mantenere alta l’attenzione sui fenomeni mafiosi e svolgere azioni investigative e giudiziarie di contrasto”.  

Le crisi economica causata dal Covid -19 ha consentito alle mafie di radicarsi ancor più soprattutto nel settore della ristorazione, principalmente approfittandosi delle attività in difficolta. La filiera agromafiosa, che condiziona il sistema di produzione agricolo e con esso l’intero network imprenditoriale collegato, coinvolge da tempo anche la ristorazione, come da anni il Rapporto Agromafie di Eurispes, Fondazione Osservatorio agromafie e Coldiretti rileva e denuncia.

Nel Lazio si stima un tasso usuraio medio del 120% annuo anche nel comparto agricolo con un giro daffari complessivo pari a 40 milioni di euro. Un dato che è molto più alto nella Provincia romana e di Latina, rispettivamente di 15 milioni e mezzo e 13 milioni, rispetto alle altre Province, dove il giro d’affari è di 8 milioni a Viterbo, 2 a Frosinone e 1 milione a Rieti.

“La Fondazione Osservatorio agromafie – spiega il presidente del Comitato scientifico, il magistrato Gian Carlo Caselli – ha cercato negli ultimi anni di svolgere unapprofondita analisi per mettere in luce i progressi, ma anche quelli che sono gli elementi di criticità che ancora permangono lungo la filiera agroalimentare”. 

E’ particolarmente appetibile il settore agroalimentare del Lazio che ricopre un ruolo rilevante nel panorama delle produzioni nazionali. Nella nostra regione sono circa 50 mila le imprese presenti, che forniscono lavoro a 70 mila addetti, tra occupati nelle coltivazioni agricole e negli allevamenti, nei servizi e nelle industrie alimentari, sia in termini di qualità e tipicità dei prodotti.

La Camorra è quella, tra le mafie tradizionali, secondo gli ultimi dati disponibili, ad occupare una posizione di spicco su tutto il territorio regionale, con 85 aziende confiscate, pari al 26,4% del totale. Il suo principale settore di infiltrazione – si legge nel rapporto – è quello della ristorazione, che rappresenta tra bar e ristoranti il 58,5% del business criminale.

Le aree di infiltrazione della ‘Ndrangheta, che rispetto alla Camorra ha un ventaglio di interessi più variegato e meno legato al comparto della ristorazione, sono infatti principalmente nei settori connessi alle costruzioni, al comparto immobiliare, al commercio sia all’ingrosso che al dettaglio.

I gruppi locali, autoctoni e autonomi, sono invece presenti in tutti i settori presi in considerazione, dall’immobiliare alle costruzioni e dal commercio alla ristorazione, fino a coprire insieme circa due terzi delle attività confiscate a tali organizzazioni. Quello della ristorazione costituisce anche per loro uno dei principali e più redditizi settori di investimento, rappresentando complessivamente il 16,36% del totale degli affari illeciti.

Un focus importante è stato svolto anche sul caporalato e sullo sfruttamento del lavoro con un’alta concentrazione di casi soprattutto nell’Agro pontino e romano. Gli occupati nel settore agricolo nel Lazio – si legge nel rapporto – annualmente registrati negli archivi dell’Inps ammontano nel 2019 (ultimo dato disponibile) a 45.236 unità, come rilevato dai dati elaborati dal Crea-Pb (Ministero delle Politiche Agricole). Il sistema occupazionale che ne deriva mostra la prevalenza del lavoro svolto a tempo determinato su quello a tempo indeterminato, appannaggio, in maniera preponderante, delle maestranze di origine immigrata (Ue e non Ue), superando in questo caso, seppure leggermente, il 90% (24.086 unità) degli impiegati. La restante quota svolge attività a tempo indeterminato (1.262 unità sul totale complessivo di 25.348).

La distribuzione degli occupati a livello provinciale, a prescindere dalla nazionalità, vede 20.824 occupati (il 46% dei 45.236 occupati in Regione) nella Provincia di Latina, 11.627 (25,7%) nella Città metropolitana di Roma, 9.202 (20,3%) nella Provincia di Viterbo, 2.006 (4,4%) in quella di Frosinone e 1.577 (3,5%) a Rieti. Per quanto riguarda il genere, il 72,5% degli occupati sono uomini e il restante 27,5% donne. I lavoratori agricoli sul territorio laziale sono soprattutto romeni, marocchini e albanesi, ma è anche significativa, soprattutto in Provincia di Latina, la presenza di indiani (soprattutto quelli provenienti dal Punjab), nonché tunisini e bangladesi. Per i braccianti sfruttati e vittime di caporalato si va da lunghi orari di lavoro giornaliero alla bassa retribuzione, che è in genere minore di circa un terzo/la metà, dunque intorno ai 500/700 euro invece di circa 1.100/1.200, senza nessuna considerazione per le competenze professionali.

La ricerca è stata realizzata con il contributo dell’Istituto di ricerca Eurispes, di Stefano Liberti, giornalista sui temi della politica internazionale su testate italiane e straniere, l’istituto di ricerca IXE’ e con il supporto della Coldiretti Regionale del Lazio e la collaborazione delle forze dell’ordine del territorio.

Foto: RietiLife ©

 

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