Tutte le emozioni dell’ultima messa di Pompili a Rieti | VIDEO – FOTO

 

Foto: Riccardo FABI ©

(di Martina Grillotti) Una piazza Cesare Battisti gremita di persone, applausi, commozione e abbracci. È stato questo il saluto del vescovo Domenico Pompili alla “sua” Rieti che dovrà lasciare dal 1° ottobre per la guida della diocesi di Verona.

Una Rieti che Pompili ha accompagnato per 7 anni facendo da guida e da amico, da fratello e da confidente a chiunque gli si avvicinasse, una Rieti che lo ha accolto a braccia aperte sin dal primo momento. Pompili ha visto i reatini soffrire durante il terremoto ed è stato il primo a tendere la mano per dare aiuto, ha vissuto la tragedia ed è stato in prima fila per battersi per la ricostruzione: “Una luce – come tanti dei suoi fedeli hanno voluto definirlo – che ci mancherà tantissimo”. Pompili ha traghettato Rieti anche durante la pandemia.

Durante la messa le parole di Pompili, bloccate dalla commozione e dalle lacrime, sono arrivate dritte al cuore di chiunque fosse lì per dargli un arrivederci. In fondo, con l’omelia che proponiamo integralmente, Pompili ha salutato i reatini. Una lunga e toccante omelia che ripercorso i sette anni. Il 9 settembre, per i saluti, non è a caso: oggi infatti si celebra la solennità della Dedicazione della Cattedrale di Santa Maria Assunta, duomo della città di Rieti e chiesa madre della diocesi, che fu consacrata il 9 settembre 1225 da papa Onorio III. Ora Rieti aspetta il successore: una decisione che spetta al Santo Padre. 

Dedicazione della Cattedrale (saluto alla chiesa reatina)

(Ez 43, 1-2.4-7; Ef 2,,19-22; Gv 4, 19-24)

“La donna samaritana disse a Gesù: Signore, vedo che tu sei un profeta!”. L’incontro al pozzo di Sicar, nell’ora più calda del giorno, giunge al suo acme. La donna prova meraviglia per l’uomo libero, profondo e trasparente che ha di fronte. E scopre che l’acqua che Gesù le sta chiedendo è, in realtà, un’allusione potente ad un’altra acqua, che è la vita stessa, di cui siamo tutti assetati. In questi anni, peraltro, siamo stati travolti da eventi rischiosi (il terremoto e la pandemia), che hanno costretto ad interrogarsi – in modo radicale e non per posa – sulla vita. A questo “serve” la chiesa: ad incontrarsi nei pressi del pozzo, cioè nel mezzo della vita quotidiana, per cogliere che in essa, nonostante le sue contraddizioni, c’è un significato nascosto, una risorsa sotterranea, un’altra profondità rispetto alla consueta velocità. La chiesa, cioè, “serve” ad indicare Gesù che col suo Vangelo ci rende persuasi della sete ardente che cerchiamo di spegnere con acque spurie, mentre l’acqua nascosta della vita è Dio, senza del quale siamo a rischio di disidratazione.

Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre”. La risposta di Gesù alla samaritana è quasi sprezzante. Ma ha il pregio di diradare gli equivoci sulla vita spirituale che non è un’altra vita accanto a quella materiale, ma è piuttosto uno sguardo nuovo ed originale sulla realtà. Per questo la fede non ha bisogno di uno spazio fisico per germogliare, ma, anzitutto, di una esperienza che è l’ad-orazione. Ad-orare è “portare il dito alla bocca”, come quando si perde la parola di fronte ad uno scenario mozzafiato o ad una situazione sorprendente. Credere è perdere la parola e sentirsi avvolti da una presenza benevola che restituisce alla nostra esistenza il senso della tenerezza e della cura. In questi anni tante volte ho toccato con mano che laddove esiste tenerezza e cura (lavoro, scuola, salute, sport) là Dio si fa spazio e rende percepibile la sua voce. La chiesa quando non si limita a ripetere le verità da credere, entra nel vissuto delle persone e lo trasforma.

Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. Da qui comprendiamo che Dio non è una cosa tra le altre, né un’idea accanto ad altre, ma è spirito, cioè respiro vitale. Sì, soltanto Dio restituisce respiro ad una vita che boccheggia, soffocata dalla tristezza e dalla noia! Per questo la vita dei credenti non può che essere una boccata di ossigeno per tutta la comunità degli uomini e delle donne. E’ questo l’augurio che formulo alla chiesa di Rieti che saluto per andare a servire quella di Verona. Lo faccio con la stessa persuasione di sempre dai tempi in cui ero parroco a Vallepietra: “Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio… Così pure la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni” (Simon Weil – 1909-1943 – , Q IV 182-183).

L’abbraccio della città 

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