Nel Lazio rischia di chiudere una stalla su quattro con l’aumento dei costi energetici e delle materie prime, che vanno a gravare su una situazione già fortemente compromessa. Il settore zootecnico è uno dei più colpiti dalla crisi determinata dalla pandemia e dalle speculazioni di chi ha cercato di trarre un illecito vantaggio da questa situazione. Solo negli ultimi cinque anni nel Lazio sono circa 200 le aziende che sono state costrette a chiudere, passando così da più di mille aziende a poco più di 800 tra quelle ad orientamento latte.
“Dobbiamo tutelare la dignità delle imprese di allevamento – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – davanti all’esplosione dei costi di energia e mangimi e con il latte spot venduto sul mercato a quotazioni record, è necessario intervenire per salvare uno dei settori più colpiti. La zootecnia è fondamentale per l’economia del Lazio e per contrastare il degrado di interi territori che rischiano lo spopolamento”.
Il comparto zootecnico del Lazio, che offre lavoro a più di 20 mila dipendenti, conta oltre un milione di capi che rappresentano circa il 5% del dato nazionale? con una presenza dell’86% di ovini, caprini, bovini e oltre il 5% di bufalini e il 4% di suini. Un patrimonio che negli ultimi anni ha subito un ridimensionamento del 3%.
“Non possiamo permetterci di mettere a rischio il futuro di un settore che produce ogni anno oltre 12 milioni di tonnellate di litri di latte di mucca – continua Granieri – grazie a circa 30mila allevamenti diffusi lungo tutta la Penisola. Nel Lazio registriamo una preoccupante diminuzione di aziende negli ultimi anni. Una situazione che potrebbe peggiorare a causa della pandemia e dell’aumento delle materie prime”.
Diminuzioni sono state registrate anche nella produzione di latte di mucca e di bufala che nel Lazio è calata negli ultimi cinque anni di circa il 10%. Stessa situazione per il latte di pecora e capra con una riduzione del 5%. Un deficit produttivo che deve essere colmato a livello nazionale in diversi settori che vanno dalla carne al latte, dai cereali alle colture proteiche necessarie per l’alimentazione degli animali negli allevamenti. In Italia si munge nelle stalle nazionali circa il 75% del latte consumato e si produce il 55% della carne necessari ai consumi nazionali.
“Con la pandemia da Covid – conclude Granieri – si è aperto uno scenario di riduzione degli scambi commerciali, accaparramenti, speculazioni e incertezza. E’ fondamentale puntare all’autosufficienza alimentare per stabilizzare le quotazioni e garantirsi adeguati approvvigionamenti di fronte alla situazione di instabilità, che caratterizza i mercati dopo la pandemia, ma soprattutto tutelare il Made in Italy. Il giusto prezzo e il contrasto alle pratiche sleali e agli abusi di potere lungo tutta la filiera rappresentano una questione di democrazia, giustizia e libertà. Se il prezzo del cibo diventa un campo di speculazione a perdere saranno sempre gli agricoltori e i consumatori”.
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