Riceviamo e pubblichiamo la bellissima testimonianza di una donna, Germana, che ha partorito su un’ambulanza, tanto “precipitosa” era la voglia di venire al mondo del suo piccolo, Stefano: “Sarà con la commozione di donna, di mamma e di medico d’urgenza quale io sono (professione che è risultata determinante in questa vicenda) che ci tengo a raccontarvi dell’avventura che ha coinvolto me e mio figlio Stefano” si legge nell’anticipazione della testimonianza.
“Poco più di mese fa, nel primo pomeriggio di sabato 13 febbraio, a Poggio Mirteto in provincia di Rieti, alla 39esima settimana gestazionale di una gravidanza caratterizzata prima da minacce di aborto e poi di parto prematuro, è iniziato il mio brevissimo travaglio che mi ha portato ad un parto a dir poco precipitoso. Erano circa le 13.20 quando a seguito della rottura delle membrane e dell’inizio delle contrazioni, con mio marito ci siamo messi in moto per recarci a Roma all’Ospedale che avevamo scelto per il parto” si legge.
“Il tempo di indossare una tuta, prendere la valigia e portare nostra figlia di 4 anni dalla nonna, che subito mi sono accorta dell’anomala intensità e vicinanza delle contrazioni tra di loro. Inutile è stato il tentativo di correre all’Ospedale più vicino, ero già nella fase espulsiva del parto e a qualche chilometro da casa ci siamo fermati ed abbiamo chiamato il 118. L’Ambulanza dell’ARES 118 è arrivata subito dopo qualche minuto a sirene spiegate con a bordo 3 angeli: 2 autisti ed un’infermiera che mi hanno trasferita dall’automobile alla barella e quindi portata all’interno del mezzo dove l’infermiera, reggendomi la mano, monitorizzava l’uscita del bambino e si teneva costantemente in contatto con la centrale e con il medico del 118 che già ci stava raggiungendo con l’auto medica ed un’altra infermiera. È stato così che, dopo qualche istante, quando ancora non eravamo riusciti nemmeno ad uscire dal comune di Poggio Mirteto, tra le braccia dell’infermiera, è nato Stefano, 3600 Kg di forza e coraggio” continua il racconto.
“Mentre io e l’infermiera ci guardavamo incredule e con il fiato sospeso, abbiamo sentito subito un gemito e poi il pianto del bambino che velocemente diventava sempre più roseo. Con lui anche noi abbiamo ripreso a respirare e senza perdere tempo, l’infermiera ha iniziato ad asciugare e riscaldare Stefano che era sempre più vitale, lo abbiamo portato a contatto della pelle del mio petto per riscaldarlo e rassicurarlo ed abbiamo clampato il cordone ombelicale. Dopo qualche minuto l’ambulanza si è fermata ed è salito di gran corsa il medico con l’infermiera che hanno visitato mio figlio trovandolo in buona salute ed hanno accertato le mie condizioni cliniche. La loro presenza e le loro parole di conforto e meraviglia sono state essenziali per rassicurare i nostri animi compreso quello di mio marito che piangeva commosso mentre ammirava nostro figlio. Il medico ha tagliato il cordone ombelicale e con l’infermiera a bordo ci hanno scortato all’Ospedale Fatebenefratelli San Pietro di Roma. Stefano ed io siamo stati presi in carico dal personale ospedaliero, che dopo un’approfondita visita e le cure del caso, ci ha trovati talmente bene che dopo 3 giorni siamo già stati dimessi” racconta.
“Questa è la testimonianza di quanto è forte e prepotente la vita che nasce, dell’amore e del coraggio di una madre, della professionalità e dell’umanità del personale dell’ARES 118 di Rieti, di come un luogo come il retro dell’ambulanza che ha visto tante persone soffrire, per una volta si è trasformato nel nido che ha protetto un neonato con la sua mamma. Ripensando a quel giorno, non saprei raccontare diversamente quanto accaduto, sia che lo guardi con gli occhi di una mamma impaurita ma determinata, sia che lo guardi con gli occhi di un medico d’urgenza che ha provato sulla propria pelle l’importanza e la grandezza professionale ed umana del personale dell’ARES 118. Ci tengo in particolar modo a specificare che questa mail non vuole essere una lettera di ringraziamento di un singolo cittadino all’ARES 118 per la sua esperienza personale, ma vuole raccontare in modo più possibile oggettivo un fatto di cronaca per riflettere, in questo particolare periodo in cui la malattia ci fa talvolta dimenticare che la forza di vivere può essere più forte del dolore, su come, anche nelle condizioni più difficili, non dobbiamo perdere di lucidità e continuare a lottare perché la felicità può nascondersi anche nei posti più impensabili (anche in un’ambulanza)” si chiude la lettera firmata “con tanta gioia” da Germana Savi, Patrick Cagliuli, Gioia Cagliuli e Stefano Cagliuli.
Foto: RietiLife ©