(di Paolo Giomi) Le sue vacanze di Natale, Marco Giustini, le ha passate dentro il reparto rianimazione dell’Ospedale San Camillo De Lellis di Rieti. Per combattere “il mostro”, il Covid-19, in compagnia delle donne e degli uomini che, a suo dire, gli hanno praticamente salvato la vita. Le dottoresse, i dottori, le infermiere e gli infermieri, e tutto il personale sanitario dell’Unità di crisi che lavora senza sosta ormai dall’inizio dell’emergenza. E che dal giorno di Natale, data del suo ingresso in rianimazione, al primo gennaio del 2021, non lo ha abbandonato per un secondo. Neanche adesso, dopo il trasferimento in terapia d’urgenza Covid, dove dovrà rimanere sotto osservazione per altri 5-6 giorni, per terminare la sua battaglia contro un’infezione polmonare provocata proprio dal Coronavirus. Un male silenzioso, che quasi senza fare rumore stava soffiando via tutto l’ossigeno dai polmoni del 44enne professionista del ramo marketing e e comunicazione in ambito assicurativo e bancario, nato e cresciuto a Passo Corese, e conosciutissimo nella popolosa frazione del Comune di Fara Sabina.
Ed è lo stesso Marco a voler raccontare la sua esperienza, “perché si sappia che le donne e gli uomini che lavorano qui senza sosta sono degli autentici angeli. Sin dal primo giorno del mio arrivo in pronto soccorso, la vigilia di Natale, non sono mai stato lasciato solo un secondo, assistito con professionalità eccezionale e con un’umanità per nulla scontata. Tanto per raccontarne una, tra le tante – prosegue Giustini – il 31 dicembre neanche chi smontava il turno ha potuto festeggiare il Capodanno; neanche un brindisi, neanche una visita, subito a casa a riposare, ognuno per conto suo, a cena e poi a letto, e ciò nonostante dal primo all’ultimo medico o infermiere o dipendente, tutti hanno sempre un sorriso, una parola gentile, o di conforto, cose che ricorderò per tutta la vita”.
TUTTO COMINCIA il 18 dicembre scorso; il giovane professionista farense, che convive con la compagna e con i due figli di 8 e 12 anni, inizia ad avere un accenno di febbre: il termometro oscilla da 37 a 38, senza mai andare oltre: “Nessun sintomo particolare, niente tosse o perdita di gusto e olfatto – racconta ancora Giustini – solo un grande senso di fatica, anche solo a parlare, ma nient’altro”. Arriva il consulto del medico curante, il dottore sabino Giancarlo Lupi, che quasi precorrendo i tempi, e senza alcun indugio, prescrive subito una cura domiciliare a base di antibiotico e cortisone, raccomandando un continuo e costante monitoraggio del livello di ossigeno nel sangue. Passano circa 6 giorni, e la mattina del 24 il livello del saturimetro raggiunge quello che per il dottor Lupi è il punto di non ritorno. Da lì parte la chiamata al 118, che viene sollecitata. Marco parte verso il pronto soccorso dell’Ospedale De Lellis, dove resta in osservazione per tutta la notte del 24, e fino alla mattina del 25, la mattina di Natale. “Ho fatto la tac ai polmoni – racconta ancora il professionista coresino – dopo numerosi prelievi di sangue il dottore del pronto soccorso (Marco non ricorda il nome, ma dice di essersi interfacciato con ‘un giovane uomo molto competente’, ndr) mi riferisce che per una sospetta infezione in due parti dei miei polmoni praticamente non arrivava più ossigeno”. E’ l’anticamera per un immediato trasferimento in rianimazione.
IL RICOVERO “La rianimazione è un luogo dove sei completamente solo, e nudo, nel vero senso della parola – racconta ancora Marco – mi hanno spogliato di tutti i vestiti, hanno poggiato i miei effetti in un armadietto, mi hanno messo il catetere, il pannolone. Non puoi avere nulla da fuori, niente di niente, zero cellulari, nessun rapporto esterno, con nessuno”. Iniziano i cicli di esami, i controlli continui, le cure, e ci vogliono altri 8 giorni prima che l’infezione venga circoscritta e rispedita indietro. Un tempo infinito, per Marco, che parla solo con i suoi “angeli”, i medici, gli infermieri, il personale sanitario. “Basti pensare che un giorno una dottoressa si è vestita di tutte le imbracature protettive che vengono indossate ogni singolo istante soltanto per parlarmi, per accarezzarmi la mano, per raccontarmi che ogni giorno lei chiamava a casa mia per dire come stavo. Mi diceva ‘forza Marco, forza che devi andare dai bimbi’. E Marco, di forza, ce ne ha messa tanta, fino ad uscire dalla rianimazione, il pomeriggio del 1 gennaio 2021, per essere trasferito nel reparto di terapia d’emergenza.
LA RIPRESA “Attualmente sto facendo una terapia dell’ossigeno con una maschera sempre in bocca – dice il 44enne coresino – poi prendo alcuni medicinali. E devo fare una terapia mettendomi o pancia sotto o di lato due volte al giorno, tutti i giorni”. Ne avrà ancora per una settimana, o poco meno, prima di effettuare un nuovo tampone e, accertata la negatività al Covid, poter finalmente uscire dall’ospedale e riabbracciare la sua famiglia. Non senza aver ringraziato i suoi angeli custodi, il personale dell’Ospedale De Lellis che “ha reso in qualche modo plausibile e reale quegli assurdi 8 giorni trascorsi nel reparto rianimazione. Non ci saranno mai parole sufficienti per ringraziare chi mi ha curato, chi mi ha assistito, chi non mi ha mai abbandonato, anche solo per raccontarmi una barzelletta, strapparmi un sorriso. Ma questa testimonianza è per voi, per dirvi che vi sarò eternamente grato per tutto quello che avete fatto”.
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