“Gli interventi di chirurgia complessa trasferiti alla clinica privata romana Villa Tiberia, quelli ambulatoriali a Magliano Sabina. Con la chiusura e il ridimensionamento dei reparti, l’apertura di 4 reparti dedicati a Covid19, il de’ Lellis, l’unico ospedale ‘vero’ della Provincia, è ormai poco più di un ospedale Covid”: lo scrive Nome Officina Politica.
“Vengono al pettine tutti i nodi di anni di scelte sbagliate. Se non era bastato il sisma 2016 a mostrare la fragilità del sistema di sanitario provinciale, arriva un terremoto che deflagra con 60/70 malati COVID tra reparti, terapia intensiva e malattie infettive, in una ASL che dispone in totale di circa 300 posti letto. Quando solo un mese fa si celebrava la attivazione di ulteriori posti letto a Poggio Mirteto, in realtà destinati a tutt’altre patologie e funzioni. Rammentiamo alcuni numeri, parte tutto da lì. Rieti, la ASL con il minor numero di posti letti pro capite del Lazio e di tutte le Regioni confinanti; Rieti, tra le province con minor numero di dipendenti sanitari pubblici pro capite d’Italia; Rieti, tra le primissime ASL in Italia per mobilità degli assistiti; nell’anno 2018, 11.730 prestazioni in regime di mobilità infra ed extra-regionale (e con un costo di oltre 43 milioni); Rieti, la ASL in cui si è riusciti a totalizzare l’avvicendamento di 6/7 Direttori sanitari in cinque anni” dice Nome.
“Un disastro strutturale, sommato ad una gestione discutibile, mostra quanto sia corta la coperta del de’ Lellis, in cui con contagi paragonabili, o anche minori al resto della Regione Lazio (come dice anche oggi GIMBE), si raggiunge facilmente la piena occupazione dei posti letto in terapia intensiva. E se la scelta su ‘dove’ tirare la coperta ricade nello spostare fuori da Rieti la attività chirurgica (il cuore di un ospedale), e non le patologie COVID, significa che quello che manca non sono le strutture, ma il personale, che sappiamo già carente, sommato ad una organizzazione. adeguata. Poniamo quindi delle domande, che siano fatte proprie e riflettute in primis dalla classe politica, locale e regionale, che scambia la “collaborazione istituzionale” con la acritica accettazione di decisioni incoerenti e talvolta dannose. Perché non si è fatto un piano che prevedesse il de’ Lellis come ospedale COVID free spostando i pazienti COVID altrove e non i pazienti chirurgici? Perché spostare i pazienti chirurgici a Roma, in una clinica privata, non attrezzata con letti di terapia intensiva (utile nel caso si verifichino complicanze intra o post operatorie)? Non era più facile spostare i pazienti COVID ad esempio a Magliano, facilmente e velocemente attrezzabile per i pazienti che hanno bisogno di cure fino alla subintensiva? Se Ettore Sansavini (magnate della sanità privata) ha fatto esattamente questo (Centro COVID a Casalpalocco, ospedali COVID free come San Carlo di Nancy e, appunto, Villa Tiberia), perché non poteva farlo la D’Innocenzo? Ci sono forse a Rieti più pazienti COVID che pazienti non COVID? Ci risultano 60 pazienti COVID ricoverati, quindi quale è il senso di questa operazione al contrario? Perché non si sono ancora attivate le USCA per curare a casa il più possibile i pazienti, così da ridurre almeno il carico sul pronto soccorso?” scrive Nome.
“Non ci interessano, oggi, le dimissioni della D’Innocenzo. Forse non risolverebbero e anzi peggiorerebbero la crisi attuale. Riteniamo tuttavia che non ci sia nulla di più sbagliato nel confermare il Direttore Generale alla fine del suo mandato. Si proroghi per il tempo strettamente necessario a superare l’emergenza e si trovi immediatamente dopo un manager che sia effettivamente in grado di riportare sui binari la sanità reatina, ormai completamente deragliata” conclude Nome.
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