(dal Corriere della Sera) Stiamo lottando con un virus subdolo e meschino. La nostra arma contro il Covid-19 deve essere il test rapido a tappeto. È fondamentale. Per questo mi auguro che arrivi al più presto una validazione scientifica dalle sperimentazioni che stiamo eseguendo». L’augurio arriva direttamente dall’assessore alla regionale Sanità, Alessio D’Amato.
Di quale dei test in via di sperimentazione parla? «Mi riferisco a quello che stanno testando lo Spallanzani e i medici di base sulla popolazione di Nerola e a quello che ha iniziato a sperimentare il Policlinico Tor Vergata».
Sono due test diversi? «Sì. Ma entrambi sul sangue e danno esiti rapidi. Cerchiamo di lavorare su più fronti per arrivare presto a una conclusione positiva».
Di quello che stava testando il Gemelli non si parla più. «Perché purtroppo non ha dato esiti scientifici validi. I medici del Policlinico hanno appurato che dava troppe false negatività».
Qualora uno di questi dovesse dare le risposte spera te cosa cambierebbe? «Su questo è chiaro come la penso. Come dimostrano i dati siamo la quarta regione d’Italia per numero di tamponi effettuati: oltre 33mila. Ma anche se volessi triplicare lo sforzo, con i tempi di lavorazione degli attuali tamponi (otto ore, ndr) impiegheremmo anni a testare tutta la popolazione».
Perché il suo intento è quello? «Certo, se il test rapido funziona, lo estendiamo a tutti i sei milioni di abitanti del Lazio».
I dati dicono che la Regione sta tenendo in quanto a contagi anche in queste che erano le settimane in cui era atteso il picco? «Il caso dei due cinesi a Roma a fine gennaio, i primi due malati di Covid-19 in Italia, ci ha dato un vantaggio di 40 giorni sulle altre regioni. Ci ha allertato e ci ha permesso di organizzarci e di non farci cogliere di sorpresa».
Si può ricondurre a questo il fatto che Roma stia resistendo e che sia una sorta di «piccola Corea»? «Su Roma abbiamo messo subito in atto una cintura di protezione. Abbiamo fatto scattare misure straordinarie. È la città più grande d’Italia, il cuore dello Stato e del paese e per noi contenere il virus in città era fondamentale. Era il nostro obiettivo massimo».
E oggi la sfida qual è? «La sfida ora si gioca tutta sul territorio. Dobbiamo puntare a una diagnosi precoce e ad un intervento mirato già dai primi sintomi. E soprattutto dobbiamo monitorare le 1.300 persone ancora in isolamento domiciliare».
Ma esiste una mappa dei contagi nella Capitale? «Esiste una mappa del tasso di incidenza del coronavirus su ogni centomila abitanti, in base alla popolazione residente e al numero di tamponi effettuati».
Ci sono delle zone più colpite di altre? «Il secondo distretto sanitario è il più colpito, ma in generale tutto il quadrante nord della città».
Siete riusciti anche ad identificare i quartieri? «Sì. Nella Asl Roma 1 l’incidenza è al 43,7 per cento ed è più alta al Flaminio, nel centro storico e anche in zone come Ponte Milvio, Balduina e Monte Mario».
Dove invece è più bassa? «Per esempio a Montesacro e a Monteverde».
E nel resto del Lazio come si sta comportando la diffusione del virus? «L’incidenza più alta si registra a Civitavecchia, nella Asl Roma 4, con una percentuale del 90,7 per cento. Seguono Rieti e Frosinone con il 69,5 e il 65,5. Dove incide il cluster delle case di riposo. Un “settore” dove forse mancavano i controlli»
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