I ricercatori hanno studiato le dinamiche che regolano questo fenomeno in aree continentali caratterizzate dalla presenza di terremoti, per capire se il degassamento attraverso la crosta terrestre fosse dominato solo da processi di diffusione su lunghe scale temporali o se fosse anche legato allo stato di deformazione e fratturazione delle rocce. “Abbiamo analizzato i gas rilasciati in atmosfera dai vulcani di fango che si trovano nelle località di Regnano e Nirano, in provincia di Modena”, prosegue Antonio Caracausi. “Si tratta di strutture geologiche la cui formazione è legata all’emissione di fango misto ad acqua salata e gas, tra i quali metano, anidride carbonica, azoto e elio. Oltre alla composizione chimica, presso i laboratori geochimici della Sezione di Palermo dell’INGV abbiamo analizzato anche la composizione isotopica delle specie del carbonio e dei gas nobili presenti. Successivamente, l’Università di Palermo ha elaborato i modelli 3D dei serbatoi gassosi presenti nella crosta al di sotto dei vulcani di fango e che ne alimentano l’attività, unitamente all’assetto geologico-strutturale dell’area”. In questo modo i ricercatori sono riusciti a stimare i volumi di gas contenuti nei serbatoi naturali.
“Ci siamo concentrati sull’elio (He) che, essendo un gas nobile, è caratterizzato dalla cosiddetta inerzia chimica ed è, quindi, un ottimo tracciante della sorgente da cui deriva (mantello, crosta o atmosfera). Le diverse sorgenti, infatti, sono caratterizzate da un segnale isotopico nettamente differente e questo contribuisce ad identificare l’origine dei fluidi naturali”.
Gli isotopi di elio (cioè atomi del gas con massa differente) contenuti nei fluidi esaminati hanno evidenziato in maniera inequivocabile che questo gas nobile contenuto nei serbatoi naturali al di sotto dei vulcani di fango di Nirano e Regnano è di origine crostale e che il contributo di elio dal mantello o dall’atmosfera può considerarsi trascurabile.
Una volta calcolata la quantità di elio contenuta nei serbatoi naturali, è emerso che questa non può essere spiegata con l’accumulo dell’elio prodottosi nella crosta terrestre e trasferito poi nei serbatoi attraverso le rocce (sin dall’età di formazione dei serbatoi stessi da 1,8 a 4,5 milioni di anni).
Gli autori, pertanto, affermano che “con studi sperimentali si è dimostrato che le rocce sottoposte ad uno sforzo rilasciano elio con maggiore facilità, grazie alla presenza di micro-fratture prodotte durante il processo di deformazione. Poiché l’area geografica studiata è sismicamente attiva, abbiamo innanzitutto indagato gli effetti delle deformazioni del suolo connesse alla sismicità locale, sulla base delle informazioni contenute nei cataloghi strumentali e storici dell’INGV”.
“Il nostro studio”, afferma il ricercatore, “ha dimostrato che la produzione di elio radiogenico nella crosta e la sua diffusione su lunghe scale temporali può non essere il processo principale che regola il degassamento in aree continentali: i risultati dimostrano che il trasporto di sostanze volatili attraverso la crosta può anche avere carattere episodico, quindi impulsivo, in funzione della deformazione dei volumi rocciosi associata alla sismicità. L’importante conseguenza di questa ricerca è che l’emissione di elio può contribuire ad investigare e monitorare i cambiamenti nel tempo delle deformazioni crostali in funzione della tettonica. Questa specie gassosa può essere usata come tracciante geochimico per la comprensione della fase di preparazione dei terremoti laddove si abbia una buona conoscenza dell’origine dei fluidi nella crosta terreste, della dinamica della loro circolazione e dei processi che ne possono modificare quantità e composizione durante la loro migrazione verso la superficie”, conclude il ricercatore. LINK A NATURE
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